venerdì 24 luglio 2020
Oggi e domani i 23 indagati, 11 militari e 12 civili, nell’interrogatorio di garanzia dovranno rispondere di reati gravi: estorsione, usura, spaccio
L’ingresso della caserma Levante di Piacenza finita sotto sequestro per gli orrori commessi da alcuni carabinieri

L’ingresso della caserma Levante di Piacenza finita sotto sequestro per gli orrori commessi da alcuni carabinieri - Fotogramma

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Piacenza il suo incubo pensava di averlo già vissuto. Invece, proprio mentre le istituzioni, il mondo economico, il terzo settore, stanno facendo di tutto per fare squadra ed uscire dalle macerie lasciate dal Covid-19, un altro virus, altrettanto subdolo, rischia ora di minare il primo valore di cui ogni comunità ha bisogno per reggersi in piedi: la fiducia. Pensare che l’ormai ribattezzata “caserma della vergogna”, la Levante di via Caccialupo, negli anni Ottanta, con l’esplodere del fenomeno eroina, era stata scelta come avamposto della lotta al traffico di stupefacenti. Invece la sua posizione strategica, a pochi metri dalla stazione ferroviaria e dai classici luoghi dello spaccio, dal 2017 – periodo in cui sarebbero stati riscontrati i primi episodi illeciti, secondo le indagini coordinate dalla Procura di Piacenza – è diventata pretesto per costruire una “piramide” di potere alla rovescia, con i carabinieri a gestire la rete dei pusher, minacciare chi era fuori dal loro giro, arrivare a veri e propri pestaggi per convincere i soggetti reticenti a cedere le sostanze.

Oggi e domani i 23 indagati, 11 militari – tra cui il comandante della stazione e quello della Compagnia di Piacenza – e 12 civili, nell’interrogatorio di garanzia dovranno rispondere di reati gravissimi, che vanno dall’estorsione allo spaccio alla tortura all’abuso d’ufficio. L’Arma ha subito reagito, installando una postazione mobile in via Caccialupo con nuovi militari e nominando il nuovo comandante della Compagnia di Piacenza, il capitano Giancarmine Carusone, trasferito dal comando di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Mentre la Procura militare di Verona ha aperto un fascicolo sulla vicenda.

La ferita però a Piacenza brucia. Non solo per il primato di città con la prima caserma della storia ad essere posta sotto sequestro. C’è un danno collaterale, che preoccupa e strappa il cuore a chi da sempre lavora con i ragazzi che liquidiamo come “difficili”. Usa proprio questa espressione la giornalista Carla Chiappini, una lunga esperienza di laboratori di scrittura autobiografica nelle carceri di mezza Italia e presidente dell’associazione 'Verso Itaca Onlus', con la quale a Piacenza porta avanti un percorso per i “messi alla prova” che fa della scrittura un’occasione per riflettere su di sé e ripartire. Non è un caso che al suo gruppo settimanale le assistenti sociali dell’Udepe, l’Ufficio esecuzione penale esterna – che si occupa delle cosiddette misure di comunità – indirizzino soprattutto dei giovanissimi, dai 19 ai 24 anni, che hanno alle spalle piccoli episodi di spaccio, risse, coltivazione di sostanze.


La città sconvolta dall’inchiesta: i giovani sapevano quel che accadeva nella caserma Levante, ma avevano paura di denunciare. Oggi gli interrogatori di garanzia dei carabinieri.
E saltano le prime “teste” nella catena di comando

«Sono ragazzi che camminano sull’orlo di un burrone: arrivano sfiduciati, delusi, con l’idea che al mondo non esiste un modo buono per stare insieme. Quel che è successo ci ha lasciato disarmati, è un danno pesantissimo per chi si occupa di educazione e non possiamo permettercelo». Chiappini ha messo nero su bianco il suo appello in una lettera aperta pubblicata sul quotidiano di Piacenza Libertà per l’educazione alla legalità, perché proprio da uno dei “suoi” ragazzi arriva una storia agghiacciante: «Un giorno mi ha confidato di essere stato picchiato dai carabinieri alla caserma Levante. Gli ho proposto di denunciare, ho letto nei suoi occhi il terrore. Mi sono interrogata su come poter intervenire, poi è prevalso l’istinto di proteggerlo: non avrebbe retto. Adesso altri ragazzi mi hanno scritto di botte subite».

Lo sapevano insomma, i ragazzi “di strada”, cosa succedeva dentro e fuori quella caserma. Ne erano vittime, più spesso spettatori. Il passaparola andava avanti da mesi, tutti sapevano, tutti avevano paura. E l’esempio lavorava, chissà con quali conseguenze, tra quei ragazzi. Ora a ragione teme un’ulteriore crisi di fiducia nel mondo adulto anche Mauro Madama, coordinatore dei servizi dell’associazione 'La Ricerca', pioniera a Piacenza sul fronte dipendenze, la sede non lontana dalla caserma finita sotto inchiesta. Loro non avevano mai ricevuto segnalazioni al riguardo dai loro utenti. Ma di una cosa è certo, «fatti come questi non fanno che peggiorare le cose».

Per non parlare del valore dell’autorevolezza che subisce l’ennesima picconata. «Non viene più dal ruolo di genitore, insegnante o dalla divisa che si indossa, per i ragazzi è possibile solo dentro una relazione. E su questo ci sarà molto da lavorare». Anche sul figlio di Giuseppe Montella, il leader del gruppetto di carabinieri accusati, a cui il padre raccontava dei suoi pestaggi: «Ieri sono corso dietro a un negro» gli diceva. E il piccolo sgranava gli occhi: «L’hai preso? Chi l’ha picchiato?». «Un po’ tutti».

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