martedì 2 novembre 2021
E sul fronte economico mette in campo una sua proposta: coinvolgere la Banca mondiale, che «oggi fa troppo poco», per aiutare a incanalare le risorse private sul clima
Draghi fa il punto sul clima: più risorse e più tecnologia, basta incoerenze
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Non ci sono colpevoli e innocenti, sul fronte caldo del clima, perché «i Paesi colpevoli sono moltissimi e i Paesi innocenti sono pochissimi». Mario Draghi spiega così, al termine della prima giornata della Cop26, perché abbia coltivato nel G20 di Roma la «diplomazia della vicinanza», non quella dello scontro. «Non si può fare da soli», ribadisce, convinto di aver aperto la via perché la Cop26 provi ad «andare oltre» gli impegni del G20.

Certo, ammette, anche i Paesi «virtuosi» indeboliscono il fronte pro-clima con comportamenti «incoerenti». Ma si possono fare altri passi avanti concreti con «ambizione, creatività e solidi piani economici». Perché i fondi «non sono un problema»: i privati son pronti a spendere «decide di migliaia di miliardi di dollari» per il clima, il tema è spenderli bene e in fretta. Perciò il premier lancia una proposta: istituire una task force per far sì che la Banca mondiale e le altre banche multilaterali si impegnino a garantire i fondi privati dai rischi e aiutare a incanalare al meglio le risorse.

Draghi arriva a Glasgow per l'apertura della Cop21 dopo la maratona negoziale del G20, difficilissima proprio sul dossier clima. Bisogna «coinvolgere» e «rendere orgogliosi» i giovani che hanno messo questo tema al centro della loro agenda. Perché, osserva ascoltando Paesi come Barbados che sono ora più soggetti a catastrofi climatiche («straordinario» il discorso del primo ministro Mia Mottley), i rischi sono davanti ai nostri occhi e non solo quelli sull'ambiente. «Il cambiamento climatico - afferma il premier italiano - ha anche gravi ripercussioni sulla pace e la sicurezza globali. Può esaurire le risorse naturali e aggravare le tensioni sociali. Può portare a nuovi flussi migratori e contribuire al terrorismo e alla criminalità organizzata. Il cambiamento climatico può dividerci», avverte.

Bisogna agire, dunque. «Accelerare il nostro impegno per contenere l'aumento della temperatura sotto 1,5 gradi»: il G20 non ha fissato una data e l'India indica il 2070, mentre l'Italia spinge per il 2050. La via è tutta in salita, se è vero che a Glasgow il leader cinese Xi Jinping (Pechino è il più grande inquinatore) non si è collegato neanche in video. Ma Draghi invita a guardare il lato positivo: «C'è disponibilità a parlare, ci sono ambizioni comuni, anche se restano divergenze sui tempi di azione. Ma con lo scontro non si arriva a niente», ribadisce. Narendra Modi, racconta, ha dato una mano a raggiungere un accordo tra le volte della Nuvola di Fuksas e alla fine anche Cina e Russia hanno firmato un documento che impegna a «riduzioni delle emissioni» in questo decennio, a fissare i prezzi del carbone, a tenere la temperatura sotto 1,5 gradi.

Da qui, è il messaggio, si riparte.

La consapevolezza è che l'innovazione tecnologica potrà aiutare a rendere «possibile quel che oggi sembra impossibile». Perché adesso, come denunciato dalla Commissione europea, le rinnovabili «hanno limiti», da sole no bastano: «Dobbiamo iniziare a sviluppare alternative praticabili e investire in tecnologie innovative per la cattura del carbonio», afferma Draghi rinviando al ministro Cingolani per gli aspetti concreti.

Sul fronte economico, invece, mette in campo una sua proposta: coinvolgere la Banca mondiale, che «oggi fa troppo poco», per aiutare a incanalare le risorse private sul clima. È ottimista che la sua proposta di una task force, da creare in sede di Nazioni Unite, possa essere approvata dalla Cop26. I Paesi piccoli e poveri - spiega Draghi - hanno bisogno di una mano a costruire infrastrutture. I Paesi grandi e in via di sviluppo hanno bisogno di risorse che li aiutino a riconvertire le produzioni, perché anche loro sentono la spinta dell'opinione pubblica locale ad andare in tal senso. I presupposti per ottenere risultati ci sono, assicura il premier, che lascia il testimone di Glasgow a Boris Johnson. E liquida con una battuta chi vorrebbe candidarlo a una «leadership» su questi temi: «Io candidarmi a leader di qualcosa? Per carità...».

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