sabato 20 marzo 2021
Domenica si celebra la Giornata mondiale promossa dall’associazione internazionale e da risoluzione Onu. Con la pandemia è diventato ancora più importante creare relazioni, ma anche lavoro e rispetto
Ogni anno, il 21/3 per indicare le 3 copie del cromosoma 21, la caratteristica genetica all’origine della sindrome che interessa circa 40mila persone in Italia (25mila adulti) e 417mila in Europa

Ogni anno, il 21/3 per indicare le 3 copie del cromosoma 21, la caratteristica genetica all’origine della sindrome che interessa circa 40mila persone in Italia (25mila adulti) e 417mila in Europa - Archivio Avvenire

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Essere in relazione, poter lavorare, chiedere attenzione e rispetto. Sono i tre aspetti che oggi, Giornata mondiale della sindrome di Down sottolineano le maggiori associazioni che in Italia si occupano di queste persone e delle loro famiglie (Aipd, CoorDown, Anffas). La Giornata mondiale – promossa da Down Syndrome International e confermata da una risoluzione Onu nel 2012 – viene celebrata ogni 21/3 per indicare le 3 copie del cromosoma 21, la caratteristica genetica all’origine della sindrome. Circa 40mila le persone in Italia (25mila adulti) e 417mila in Europa, secondo una stima effettuata da European Down Syndrome Association: un numero pesantemente condizionato dagli aborti selettivi permessi in molti Paesi.

Il tema “connect” del messaggio scelto quest’anno per la Giornata mondiale (hashtag ufficiali #WorldDownSyndromeDay e #Wdsd2021) è ricco di implicazioni. Con la pandemia abbiamo capito l’importanza di entrare in relazione gli uni con gli altri, e il video realizzato da Aipd (Associazione italiana persone Down) chiede a tutti di prendersi il tempo di fermarsi e guardare la persona con sindrome di Down: da uno sguardo di pochi minuti può nascere una connessione profonda sottolinea il messaggio del filmato (visibile sul canale Youtube di Aipd). L’entrare empaticamente in contatto è il primo passo per riconoscere la pari dignità dell’altro. Nell’anno di pandemia «ci siamo reinventati, riformati, ritrovati – segnala Aipd –: ri-connessi, appunto, per far sì che il filo che ci univa non si spezzasse, ma piuttosto si rafforzasse: gli sguardi scambiati attraverso i monitor hanno insegnato a tutti noi a essere vicini anche da lontano».


Il messaggio di quest’anno è il tema "connect": l’invito a guardare.
Da uno sguardo può nascere una connessione profonda

Al circolo virtuoso che può innescare l’assunzione di una persona con la sindrome di Down fa invece riferimento il video realizzato da CoorDown (Coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down). Sulle note di una melodia cantata dalla rockstar inglese Sting, viene raccontata la catena delle assunzioni (visibile sul sito hiringchain.org): un fornaio assume una ragazza con sindrome di Down, la quale viene notata da una avvocatessa, che a sua volta assume un assistente con la sindrome, che viene visto da un dentista che frequenta lo studio legale. A sua volta il dentista assume un’assistente con la sindrome di Down, e una sua paziente imprenditrice agricola la vede e continua la pratica virtuosa, imitata infine da un barbiere suo cliente: quanto più le persone con sindrome di Down vengono viste al lavoro – osserva CoorDown – tanto più sono riconosciute come dipendenti di valore. Partner dell’iniziativa è il social network LinkedIn, specializzato nella valorizzazione delle competenze lavorative: il video è stato già visto oltre due milioni di volte, e sul social si moltiplicano i commenti e le storie di dirigenti e dipendenti di imprese (da Intesa SanPaolo a Dual, da Adecco ad AQuest) che confermano quanto la presenza di persone con la sindrome di Down sia positivo per l’intera azienda.

«Il lavoro delle persone con sindrome di Down – spiega Massimo Rota, disability manager e responsabile degli inserimenti lavorativi di Agpd (Associazione genitori e persone con sindrome di Down) di Milano – è un percorso che viene costruito con pazienza nel tempo. Molte aziende sono interessate, ma talvolta sono frenate da due dubbi: quali responsabilità si possono affidare alle persone con la sindrome e quali responsabilità i colleghi hanno verso di loro. Occorre ancora migliorare, nell’organizzazione aziendale, l’applicazione del principio di “adattamento ragionevole”, previsto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Ma numerose esperienze indicano che valorizzare le diversità migliora anche il clima dell’ambiente di lavoro».


40.000
Le persone in Italia con sindrome di Down (25mila sono adulti) secondo una stima effettuata a European Down Syndrome Association

417.000
Le persone con sindrome di Down che attualmente vivono in Europa, secondo i dati raccolti dalle varie associazioni

71%
Persone con la sindrome di Down che si dichiara felice della propria vita, dice un’indagine svolta da CoorDown nel 2020 su 2.544 soggetti

76%
E' contento del suo lavoro, ma solo il 17% frequenta i colleghi fuori dall’azienda. L’81% di chi non ce l’ha vorrebbe trovare una occupazione

71,7%
Degli intervistati (tra i 14 e i 65 anni) sa di avere la sindrome di Down; per quasi il 40% è una condizione genetica, il 7% pensa sia una malattia

83%
Vota alle elezioni. Per il 91% la felicità è in famiglia, per il 77% è vivere un amore. Ha una vita affettiva il 46,5%, tra chi non ce l’ha, il 75% la desidera



Infine Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) ha scritto una lettera aperta al ministro per le Disabilità, Erika Stefani, per rivendicare un’attenzione oltre la giornata: dopo la pandemia occorre una “nuova normalità” «in quanto ciò che era “prima” non vedeva i nostri diritti garantiti e, sinceramente, vorremmo poter guardare al futuro con maggiore ottimismo». La lettera enumera le problematiche: lavoro, salute, vita indipendente e scuola. Proprio su quest’ultimo ambito, di recente CoorDown ha avviato un tavolo di confronto con l’Associazione nazionale presidi perché ai ragazzi con disabilità sia garantito anche in zona rossa non solo di frequentare la scuola, ma anche di avere in classe qualche compagno: altrimenti l’inclusione scolastica resta una parola priva di concretezza.

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