martedì 2 febbraio 2021
Milano, quartiere Stadera: dentro la Casa famiglia protetta per madri detenute, dove si vive la quotidianità (senza sbarre) del rapporto genitoriale Ci sono solo due strutture così in tutta Italia
A Milano una casa famiglia protetta per madri detenute e i loro bimbi

Ansa

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Secondo piano dell’ex 'Casa della gioventù' della parrocchia Quattro Evangelisti. Sul lungo corridoio si affacciano una ludoteca, la grande cucina e tre piccoli appartamenti in cui vivono cinque donne con i loro figli. Ogni giorno si ripetono gli stessi riti: la colazione, la passeggiata fino a scuola, la spesa, i momenti di gioco con gli amici del quartiere o il catechismo. Ma la quotidianità di questi piccoli gesti non è banale, né scontata. Siamo a Milano, nel quartiere Stadera, nella Casa famiglia protetta per detenute madri gestita dall’associazione 'Ciao', che dal 1995 lavora con i detenuti. Un luogo 'delle seconde possibilità', come ricorda una scritta sul muro del corridoio.

La prima ospite, nel 2010, fu una mamma in uscita dall’Icam, l’Istituto a custodia attenuata per detenute madri, di San Vittore con la figlia di soli tre anni. «La legge prevedeva che a quell’età i bambini dovessero lasciare la struttura: la piccola sarebbe stata quindi costretta a separarsi dalla mamma – racconta la presidente di 'Ciao', Elisabetta Fontana –. Era la prima volta che mamma e figlia uscivano assieme. In quel momento abbiamo deciso di dare vita a un progetto specifico per tutelare le detenute madri e i loro bambini». L’associazione ha quindi deciso di concentrarsi (a spese proprie) su questo tipo di accoglienza, dando così forma alle Case famiglia protette istituite poi dalla legge 62/2011.

Una norma innovativa, che per la prima volta ha dato ai magistrati strumenti concreti per far uscire dal carcere i bambini con meno di tre anni costretti a vivere con le madri detenute: gli Icam e, appunto, le Case-famiglia protette. In questi dieci anni, tuttavia, solo i primi sono stati finanziati e costruiti: oltre all’esperienza pilota di Milano (dove l’Icam è stato aperto nel 2006) sono stati realizzati gli Icam di Venezia, Torino, Cagliari e Lauro, in provincia di Avellino. «Le Case famiglia protette, invece, sono rimaste a lungo solo sulla carta – spiega Bruno Mellano, garante dei detenuti della Regione Piemonte –. La legge, infatti, prevedeva che queste strutture venissero realizzate 'senza o- neri per lo Stato'». In questi dieci anni, infatti, solo a Milano (nel 2016) e a Roma (nel 2017) sono state aperte due Case-famiglia protette grazie all’impegno, anche economico, delle associazioni e del Terzo settore. Il 2021 potrebbe essere l’anno della svolta e non solo per una crescente attenzione degli addetti ai lavori. La scorsa legge di Bilancio ha istituito un fondo ad hoc, con una dotazione di 1,5 milioni di euro l’anno per ciascun anno del triennio 2021-2023, per le Case famiglia protette. Queste risorse permetteranno di far uscire dalle carceri italiane tutti i bambini detenuti, dando alle loro madri la possibilità di scontare la pena in misura alternativa.

A questi fondi, si è aggiunto l’impegno della Cassa delle Ammende del Ministero della Giustizia a finanziare progetti per il superamento degli Icam. «Dovremmo tendere all’eliminazione della detenzione dei minori in qualunque forma» ha precisato la segretaria generale Sonia Specchia durante un incontro organizzato dal Garante dei detenuti dell’Emilia Romagna. «Il Piemonte si candida a essere sede di una Casa-famiglia protetta – aggiunge il garante Mellano –. Le esperienze di Roma e Milano dimostrano che queste strutture funzionano al meglio quando sono in rete con i servizi territoriali. C’è davvero bisogno di costruire questa rete a livello nazionale». «I bambini non devono stare in carcere e su questo tutti concordano – riflette Andrea Tollis, direttore di 'Ciao' –. L’esperienza delle Case famiglia protette dimostra che è possibile bilanciare i diritti con l’esecuzione penale dando alle detenute madri la possibilità di scontare la pena promuovendo, al tempo stesso, un processo che vede il ricorso al carcere come ultima ratio ».

Le cinque donne che oggi vivono nella Casa-famiglia protetta di Milano hanno alle spalle un periodo, più o meno lungo, nell’Icam di San Vittore. Per loro, la detenzione domiciliare speciale rappresenta anche un’opportunità di crescita personale (in continuità con il percorso avviato in precedenza) grazie al supporto delle educatrici, tra le quali Simona Flandi e Stephanie Depretto. «Alcune di loro sono giovanissime, molte sono straniere e non hanno una rete familiare di sostegno – spiegano –. Noi le sosteniamo in un percorso di crescita e di genitorialità consapevole». Complessivamente, dal 2010 a oggi, nella Casa famiglia di Milano sono state accolte 29 mamme con i loro bambini. Numeri che possono sembrare piccoli, ma che si spiegano con le lunghe permanenze all’interno della struttura. «Anche quando ottengono le misure alternative spesso c’è un residuo di pena piuttosto alto – riflette Elisabetta –. Il nostro obiettivo è sempre quello di costruire percorsi di senso, per fare in modo che una volta tornate in libertà queste donne abbiano un’alternativa concreta. E non è una sfida facile. Quando questo non è subito possibile, continuano il loro percorso all’interno di altri appartamenti della nostra associazione».

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