venerdì 12 novembre 2010
Il sociologo, che ha organizzato la Conferenza nazionale della famiglia di Milano, illustra il documento: «La rivoluzione nel welfare sussidiario».
- Equipariamo i figli. Ma senza scardinare la famiglia di Francesco D'Agostino 
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Impoverita, trascurata, affaticata: alla Conferenza nazionale di Milano la famiglia italiana è entrata così. Ne è uscita con un Piano in dieci punti, un’agenda puntuale di quello che andrà fatto nei prossimi mesi per garantire un futuro al Paese. In mezzo, tre giorni di confronto acceso. In cui sono emersi tutti i segnali di una svolta culturale già in atto, come spiega bene Pierpaolo Donati, sociologo e direttore dell’Osservatorio nazionale della famiglia, che ha coordinato i lavori sul documento all’esame del confronto milanese e che ora si occuperà di recepirne indicazioni e modifiche.Professore, intanto qual è il suo bilancio della Conferenza?È un bilancio estremamente positivo. Intanto perché tutti i partecipanti – dalle istituzioni al terzo settore, dal mondo dell’impresa alle parti sociali – hanno condiviso lo stesso obiettivo concreto: mettere la famiglia al centro delle politiche sociali. E questo a partire da una svolta: il superamento dell’ideologia che per anni ha contrapposto nel nostro Paese i diritti della famiglia a quelli dell’individuo, come se garantire i primi significasse togliere ai secondi. La famiglia ha una cittadinanza sociale: su questo siamo finalmente tutti d’accordo.D’altronde è proprio questo il principio ispiratore del Piano nazionale varato a Milano.Esatto. La filosofia del documento è proprio quella del family main streaming: la famiglia che diventa criterio su cui si orienta tutta la vita sociale. Significa che per costruire delle politiche familiari efficaci prima di assegni, bonus o fondi serve che il Paese pensi a misura di famiglia: sono, le scuole, a misura di famiglia? E gli ospedali? E gli orari di lavoro? E i programmi tv? In Europa si è investito molto sul gender main streaming, la strategia orientata a pensare a misura di pari opportunità tra i generi. Ma non basta: la prima “rivoluzione” del Piano nazionale è garantire la stessa tutela alla famiglia.Che cosa è cambiato rispetto alla bozza con cui siete arrivati alla Conferenza?Sostanzialmente soltanto un punto, in materia fiscale. Nella bozza avevamo ipotizzato l’introduzione del “Quoziente familiare pesato”, un evoluzione del quoziente alla francese che superava il limite del favorire i redditi medio-alti. Nel documento finale figura invece il “Fattore famiglia”, proposto dal Forum delle associazioni familiari.Qual è la differenza decisiva tra i due sistemi?Senza entrare troppo nei particolari tecnici, il “Quoziente” è un sistema di redistribuzione fiscale centralizzato (cioè guidato, per così dire, dallo Stato) calcolato sul numero di figli e il carico familiare; il “Fattore”, invece, non è affatto un sistema di redistribuzione. Si ispira al modello federale tedesco, secondo cui lo Stato non ha diritto al prelievo fiscale sul reddito minimo vitale di una famiglia. Si tratta di un sistema di sussidiarietà, in base al quale si tassa solo ciò che eccede il reddito necessario alla vita dignitosa di ogni nucleo.Un sistema che ben si concilierebbe con il federalismo che troverà presto attuazione anche nel nostro Paese...Esattamente, senza contare che nel fissare i parametri di quel reddito minimo vitale potrebbe esserci un margine di discrezionalità in base alle situazioni delle famiglie nelle singole regioni.Altri cambiamenti rispetto alla bozza?Nessuno, salvo alcuni aggiustamenti. E qualche differenza di vedute, alla fine conciliata.A cosa si riferisce?Nel corso della Conferenza è ancora emersa la posizione di chi intende il welfare alla vecchia maniera: più risorse pubbliche, più spese, più investimenti. In una parola, politiche familiari più statalizzate. C’è invece un nuovo welfare: sussidiario, plurale partecipato. È il modello per cui la società civile (cioè le imprese, il terzo settore, le associazioni) è diventata protagonista di politiche per la famiglia e solo in un secondo momento ha chiesto l’intervento dello Stato, ma – si badi bene – sotto forma di partnership.Il famoso insegnamento del Paese “reale”, che bene si è visto nei gruppi di lavoro della Conferenza.Proprio dalle decine di esperienze che sono già state avviate con successo a livello territoriale, e che sono state presentate a Milano, arriva una spinta forte alla realizzazione di una rete di politiche per la famiglia di cui sia protagonista la società civile. È l’energia che ispira il Piano e che speriamo possa in tempi brevi ispirare anche il governo.
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