mercoledì 17 agosto 2016
​Da testimone a incriminato per omicidio volontario aggravato. Don Paolo Piccoli, incardinato nell’arcidiocesi dell’Aquila, è indagato per l’omicidio di don Giuseppe Rocco, avvenuto due anni fa nella Casa del clero di Trieste. Umberto Folena
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Da semplice testimone a incriminato per omicidio volontario aggravato. Don Paolo Piccoli, di origini veronesi ma incardinato nell’arcidiocesi dell’Aquila, è indagato per l’omicidio di don Giuseppe Rocco, avvenuto due anni fa nella Casa del clero di Trieste. Piccoli, dopo essere stato parroco a Pizzoli e a Rocca di Cambio, per le sue precarie condizioni di salute era stato posto in stato di quiescenza, affinché potesse curarsi. Due anni fa, all’epoca dell’omicidio, era ospite nella Casa del clero di Trieste. Per don Rocco, 92 anni, inizialmente era stata ipotizzata la morte naturale. Poi però il Ris di Parma aveva rinvenuto nella stanza della vittima delle tracce di sangue appartenente a Piccoli, che si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che a volte gli provocava piccole emorragie, anche alle mani. Era stato proprio lui, don Piccoli, a impartire la benedizione a don Rocco; e in questo modo il suo sangue sarebbe potuto venire a contatto con il corpo dell’anziano sacerdote. L’udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 13 dicembre. La notizia è stata appresa «con profondo dolore» dall’arcivescovo dell’Aquila, Giuseppe Petrocchi, che pure non ha mai conosciuto il prete indagato. Nel novembre 2010, infatti, don Piccoli aveva lasciato la Chiesa aquilana. «Da quanto mi è stato riferito – scrive Petrocchi – la decisione fu presa perché don Paolo avrebbe potuto curarsi meglio, vivendo in un ambiente più tranquillo» di quello difficile del post-sisma, «vicino alla sua famiglia». Da allora, Piccoli era stato posto in stato di "previdenza integrativa" (quiescenza). «Insieme ai miei collaboratori – prosegue la lettera aperta dell’arcivescovo – seguo con attenzione gli sviluppi della situazione e attendo con serenità le decisioni che gli inquirenti riterranno opportuno prendere. Anche in questa triste situazione, ribadisco la mia salda e motivata fiducia nella magistratura e nelle forze dell’ordine, auspicando che la verità emerga rapidamente e nella sua interezza». Quando a don Piccoli, la speranza di Petrocchi è che «possa dimostrare la sua estraneità ai fatti delittuosi che gli vengono contestati». Prima delle sentenza, vale per lui come per tutti la "presunzione di innocenza". Soltanto a sentenza emessa verranno adottate eventuali misure di carattere ecclesiastico. Nel frattempo, l’arcivescovo assicura a inquirenti e giudici «la leale collaborazione e la convinta stima».
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