lunedì 5 giugno 2017
Un convegno al Miur ripercorre la figura del sacerdote di Barbiana. Ecco le sue parole lette e commentate da Tarquinio, Molinari e Fontana.
La memoria viva di don Milani, «pedagogo illuminato»
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"Ricordare nelle scuole, a 50 anni dalla scomparsa, la figura di don Lorenzo Milani, sacerdote lungimirante e pedagogo innovativo, è iniziativa importante e doverosa. È infatti all'educazione e alla promozione umana e culturale dei giovani che il priore di Barbiana ha dedicato la sua intera esistenza. Il suo metodo, incompreso e talvolta osteggiato da alcuni, ha precorso il concetto di comunità educativa, oggi alla base della scuola moderna".È con queste parole che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto salutare – con un suo messaggio alla ministra dell'Istruzione, Valeria Fedeli – l’importante evento ospitato questa mattina nella sede del Miur di viale Trastevere per ricordare la figura di don Milani. Un evento che si colloca significativamente alla vigilia del viaggio che il prossimo 20 giugno porterà papa Francesco a pregare davanti alla tomba del sacerdote fiorentino scomparso a soli 44 anni il 26 giugno di cinquanta anni fa, nel 1967.

All’iniziativa hanno partecipato i direttori di tre quotidiani – Marco Tarquinio di Avvenire e Maurizio Molinari de La Stampa “dal vivo”, Luciano Fontana del Corriere della Sera in streaming – che hanno letto e commentato brani del priore di Barbiana. È intervenuto anche storico Alberto Melloni, che ha curato per la collana i Meridiani di Mondadori i due volumi dell’Opera Omnia di Milani. Testimonianze sono poi state portate da Adele Corradi, la professoressa che aiutava don Lorenzo a Barbiana, Renata Colorni, direttrice dei Meridiani Mondadori e Paolo Landi, ex allievo del priore.

All’evento, moderato da Marino Sinibaldi, hanno assistito molti studenti. Due di loro – dell’Istituto Marconi di Civitavecchia – hanno rappresentato una “Intervista impossibile” con Milani; mentre altri due – dell’Istituto Einaudi di Roma – hanno letto un “decalogo” della buona scuola ispirato al motto “I care” di Barbiana. Numerose le personalità presenti, tra cui anche Gianni Letta e Luigi Berlinguer. Ha concluso la ministra Fedeli che ha ribadito l’importanza di “far conoscere direttamente don Milani ai ragazzi, non con slogan ma attraverso i suoi scritti”.


Il brano scelto da Marco Tarquinio

Da "L'obbedienza non è più una virtù"
(1965)

Non discuterò qui l'idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.

Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.

E se voi avete il diritto (...) di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.

Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona(...) Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei.

Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa. Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.

Articolo 11 L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...».La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».

Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia. (...) Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?

Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. (...)Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.

Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.

Il brano scelto da Luciano Fontana – Corriere della Sera

Da "Lettera ai giudici" (1965)

Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita.

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.

Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande «I care». È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. «Me ne importa, mi sta a cuore». È il contrario esatto del motto fascista «Me ne frego»…

A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona. La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).

La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.

Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo
pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva.

Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico. Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i «segni dei tempi», indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.

Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo. In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).

Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.

Il brano scelto da Maurizio Molinari – La Stampa

C’è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né all’una né all’altra non sono che un’infima minoranza malata. Sono i cultori dell’obbedienza cieca.

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