domenica 15 dicembre 2019
Parla il direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro. Le caratteristiche: «Stile sinodale fin dall’inizio, capacità di precorrere i tempi, generatività e 'filiere' virtuose»
Don Bruno Bignami, direttore dell'Ufficio Cei per il problemi sociali e del lavoro

Don Bruno Bignami, direttore dell'Ufficio Cei per il problemi sociali e del lavoro

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Un progetto «generativo », che ha precorso i tempi, per il suo stile sinodale e la capacità di testimoniare una «Chiesa in uscita» anche verso i giovani e il mondo del lavoro. Questo il personale bilancio di don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro.

Quali sono i punti di forza del Progetto Policoro?

Al fondamento c’è l’intuizione che la Chiesa è una comunità che sa accompagnare i giovani ad assumersi responsabilità anche in campo sociale e lavorativo. La pastorale sociale e del lavoro, la pastorale giovanile e la Caritas formano l’équipe diocesana che struttura e progetta il percorso. Al loro interno la figura del tutor dà corpo alla volontà di accompagnare i giovani. In sostanza dunque possiamo dire che è una scommessa ecclesiale che chiama in causa più pastorali, chiedendo loro di saper camminare insieme, con stile sinodale.

Si può dire che l’idea di don Operti ha anticipato l’invito del Sinodo dei giovani di passare da una pastorale per 'uffici' a una pastorale per 'progetti'?

Sì. Quando questo accade, il Progetto Policoro diviene generativo e i giovani coinvolti si sentono parte del mondo ecclesiale. Bisogna però stare attenti a non far prevalere la delega e l’indifferenza, altrimenti si rischia di scadere in un assistenzialismo sterile e stanco.

Qual è il ruolo dell’animatore di comunità?

È una sorta di sentinella sociale. Il suo ruolo è infatti quello di tessere reti, di acquisire competenze (spirituali, umane, morali, economiche) nel campo del lavoro e dell’impresa, di accompagnare altri giovani che intendono far nascere attività produttive, di assumersi in prima persona l’iniziativa frutto di cooperazione, di formare nelle scuole alla cultura del lavoro, di sensibilizzare in diocesi l’attenzione verso i neet, di offrire opportunità di microcredito per avviare start up. In tal modo prende forma la Chiesa in uscita, dove i giovani sono valorizzati non solo per il loro impegno catechistico-liturgico nella comunità, ma perché diventano sale e lievito del territorio.

Come contribuiscono al Progetto le associazioni ecclesiali?

Il ruolo delle cosiddette 'filiere' è molto importante. Il Progetto Policoro raduna intorno a sé diverse associazioni di ispirazione cristiana (come ad esempio Acli, Cisl, Banca etica, Mlac, Libera, Bcc, Gioc, Confcooperative, Agesci, Coldiretti, Salesiani per il sociale) e ne valorizza le potenzialità. Ciascuna filiera si mette in gioco offrendo la propria esperienza: dalle competenze formativo- spirituali, a quelle economiche, imprenditoriali e finanziarie. Così per i giovani aumentano i punti di riferimento.

E per il futuro?

Auspico che le nostre Chiese sappiano lasciarsi coinvolgere sempre di più dal Progetto. Come disse papa Francesco nel 2015: «I giovani devono poter coltivare la fiducia che i loro sforzi, il loro entusiasmo, l’investimento delle loro risorse non saranno inutili ».

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