venerdì 26 agosto 2016
​Tagli di stipendio a chi non centra gli obiettivi. Renzi: diamo vita ad un nuovo modello che premia i risultati.
Dirigenti Pa, si cambia. Arrivano le valutazioni
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Arriva il primo sì del Consiglio dei ministri alla riforma della dirigenza che crea un mercato unico degli incarichi, con paletti precisi per la durata di ciascun mandato e uno stretto collegamento tra obiettivi da raggiungere e stipendio. Chi non centra i 'bersagli' assegnati rischia una busta paga sensibilmente più leggera, fino al 40%. E nei casi più gravi si rischia il posto stesso. Cadono le distinzioni tra amministrazioni e fasce. E la novità riguarda anche gran parte dei cosiddetti 'super capi': soltanto uno su tre potrà contare su un 'salvagente'. Soddisfatto il premier Matteo Renzi, secondo il quale con il decreto proposto dal ministro Marianna Madia si dà vita così «a un nuovo modello di dirigenza», con un focus sui «premi di risultato» piuttosto che di posizione. Il Consiglio dei ministri di ieri ha approvato in via preliminare anche altri tre decreti, ovvero il riordino delle Camere di commercio (di cui riferiamo nel pezzo qui sotto), la sburocratizzazione degli enti di ricerca (assunzioni più facili) e lo scorporo del Comitato paralimpico dal Coni. La riforma della Pubblica amministrazione, attesa anche dall’Ue, conta così, a un anno di vita, una dozzina di provvedimenti attuativi già fatti e altri sei, con quelli di ieri, in rampa di lancio. Gli ultimi quattro secondo Renzi sono destinati ad avere «un rilevante impatto sulla vita quotidiana», quando entreranno in vigore, entro il 27 novembre. Il piatto forte del nuovo pacchetto è di certo quello che interessa gli oltre 36mila dirigenti pubblici. Si tratta di una riforma nella riforma e la gestazione non è stata facile: il testo doveva approdare in Cdm lo scorso 10 agosto ma poi si è preferito lavorarci per ancora due settimane. Di più non era possibile, visto che la delega scade domenica prossima. Comunque non finisce qui: il decreto dovrà passare alle Camere per i pareri. Si parte da alcuni punti cardine: un ruolo unico che ingloberà tutti (tranne presidi e medici), accesso per corso o concorso, conferma nel ruolo dopo tre anni di prova, incarichi di durata limitata, massimo quattro anni, e rinnovabili una sola volta, per due anni così da favorire la rotazione. Per ottenere un incarico bisognerà passare per una selezione, fanno eccezione solo le posizioni di vertice, come quelle di segretario generale ministeriale. Possibile, pur di evitare l’estromissione, optare per la retrocessione a funzionario. A vigilare su tutto saranno delle commissioni ad hoc, una per ogni livello (statale, regionale e locale), con poteri, tra cui la formulazione della rosa dei candidati alle posizioni apicali. Inoltre il decreto prevede che chi perde l’incarico a seguito di una revoca per mancato obiettivo, a riguardo le pagelle diventano più definite, ha un anno di tempo per procurarsi un nuovo mandato, dopo di che decade dal ruolo, cioè viene licenziato. In generale, per chi resta senza incarico la vita diventa dura: si resta in standby per un anno poi, nel giro di un triennio, la paga si riduce all’osso.  La retribuzione che cambia alla radice: la parte variabile, legata ai risultati (si farà attenzione anche al controllo delle assenze), non potrà scendere sotto il 30%, che diventa 40% per i dirigenti generali. Insomma, qualche differenza resta anche con il ruolo unico. Si potrà distinguere tra posizione generale o meno e anche creare delle sezioni a parte per 'dirigenti speciali' sul piano tecnico, con possibilità di derogare alle quote di esterni. Altre eccezioni dovrebbero riguardare quanti oggi ricoprono la prima fascia. Almeno il 30% di loro, circa 160, magari in base all’anzianità, dovrebbe potere essere riconfermato nello stesso ufficio, dopo la scadenza naturale dell’incarico. La questione è delicata e se ne continuerà a palare. Rimandato a febbraio invece il focus sulla responsabilità (di mezzo c’è il danno erariale).
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