mercoledì 30 novembre 2016
Due anni di indagini della Guardia di Finanza hanno permesso di sgominare un'associazione attiva tra le province di Ragusa, Siracusa, Agrigento e Catania, che “vendeva” diplomi a 3.500 euro
Diplomifici, 80 indagati in Sicilia
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Bastava pagare 3.500 euro per ottenere quel “pezzo di carta” che, evidentemente, non si era stati in grado di conseguire attraverso i regolari percorsi di studio. Al termine di due anni di indagini, la Guardia di Finanza di Ragusa ha denunciato 80 persone, tra studenti, insegnanti, dirigenti e titolari degli istituti, che componevano un'associazione a delinquere dedita alla produzione di diplomi di scuola superiore. Al vertice della catena c'era una coppia di coniugi, gestori di due istituti paritari di Ispica e Rosoli, entrambi dipendenti pubblici, che si assentavano spesso dal lavoro per portare avanti questa seconda e più redditizia attività, grazie alla compiacenza di medici che attestavano false malattie.

Diplomati senza studiare

Gli studenti coinvolti nella truffa risultavano soltanto apparentemente iscritti alle due scuole, che non frequentavano mai, salvo quando dovevano simulare l'effettuazione di verifiche e interrogazioni. A loro interessava soltanto il diploma, rilasciato dietro il pagamento di somme di denaro, che potevano arrivare, appunto, anche a 3.500 euro ad alunno.

Il «grazie» del Ministero

Ringraziamenti alla Procura di Ragusa sono arrivati dai sottosegretari all'Istruzione, Gabriele Toccafondi e Davide Faraone. «Questo governo - dice Toccafondi - è contro i diplomifici perché a favore della vera parità scolastica. Occorre dire ai ragazzi che la scuola superiore è un percorso di crescita non è un foglio di carta al quale si arriva con sotterfugi». Faraone ha invece ricordato i risultati del primo anno di attività ispettiva portata avanti dalla speciale task force istituita dal Miur. «Sono state ispezionate 288 scuole, con particolare attenzione alle secondarie di secondo grado e la parità è stata revocata a 27 di queste mentre in 145 casi gli ispettori hanno rilevato problematiche da sanare. Fra i risultati di questa azione decisa - prosegue Faraone - anche la riduzione del 13% dei privatisti all'ultimo esame di maturità».

Vittoria in Tribunale

Di scuole paritarie si è occupato anche il Tribunale del lavoro di Roma, chiamato a giudicare il ricorso di un'insegnante alla quale non erano stati riconosciuti dal Miur gli anni di servizio prestati nelle scuole non statali, ai fini della ricostruzione della carriera. Per questa ragione, la donna si è vista destinare a una scuola lontana da casa, nonostante avesse un punteggio superiore a quello di altrri colleghi che, invece, avevano sempre lavorato nella scuola statale. Accogliendo il ricorso della docente, assistita dal sindacato autonomo Anief, il giudice del lavoro ha ricordato che «la legge impone di valutare nella stessa misura il servizio di insegnamento nelle scuole paritarie e nelle scuole statali», perché, si legge del dispositivo della sentenza, «entrambe svolgono un servizio pubblico».

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