venerdì 23 agosto 2013
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Ma chi sapeva che abbiamo un quinto di ettaro a testa di terreno coltivabile? Il dato l’ho raccolto da una mostra sull’antico dialogo dell’uomo con la natura che è stata allestita a Rimini, al Meeting, ma che sicuramente ritroveremo ancora, perché in pochi metri quadrati sono stati magnificamente sintetizzati 10mila anni di storia. Insomma un prologo dell’Expo 2015, i cui organizzatori certamente qui potranno trovare ispirazione per raccontare che cosa ha significato e che cosa può diventare il progetto di Nutrire il Pianeta. E bisogna appunto partire dalle origini, per capire dove potremmo andare, che credo sia un po’ anche lo scopo di una manifestazione internazionale che ha molti contenuti da giocare.
Due cose tuttavia mi hanno colpito di questa mostra viva, che ti coinvolge subito coi cinque fazzoletti di terra che esemplificano le coltivazioni nei vari punti del mondo: dalla Cina al Sud America. La prima è la forza dell’empirismo che nei millenni, ad esempio, ha sempre saputo calibrare cereali e leguminose, per evitare quel disordine alimentare, legato a un mono­cibo, fonte, da sempre, di diverse patologie (e oggi, nonostante la cosiddetta evoluzione umana, le patologie aumentano ancor di più. Che paradosso!). Variare l’alimentazione, concepirla secondo un equilibrio e un ordine non è quindi una pratica un po’ snob, ma un elemento vitale che ad esempio ha portato la pellagra in Europa e non in Sud America, pur essendo popolazioni che si alimentavano con la medesima materia prima, il granoturco.
Ma un conto era fare la polenta, un altro la tortilla. E qui entra in gioco la manipolazione degli alimenti, la cucina, e quindi le tecniche di cottura e il rapporto fra il fuoco e l’acqua con i vari alimenti. Il secondo aspetto che colpisce della mostra è poi vedere gli antenati dei pomodori, ma anche del grano, che per dimensioni sembrano dei bonsai, al confronto coi prototipi odierni. In realtà, nel tempo, hanno subito modifiche per avere più sostanza e quindi per nutrire di più, persino un uomo più alto e più grosso rispetto a quello dei diecimila anni degli inizi dell’agricoltura. Non che questi frutti siano gli antenati degli Ogm, ma poco ci manca, almeno come concezione, anche se qui la materia si fa complessa... Ma non per questo la si deve abbandonare, come molto spesso s’è fatto intorno a questo tema, che ha visto contrapposte tesi di carattere ideologico, sia da parte dei pro e sia dei contro. I curatori della mostra, invece, hanno scelto una terza via, decisamente garbata, introducendo il tema degli Ogm nelle conclusioni, quasi a voler riaprire un dialogo scevro da ideologie e contrapposizioni aprioristiche.
Ed è quello che tutti auspichiamo: conoscere la verità, e quindi i pericoli e le manipolazioni politiche ed economiche che una nuova rivoluzione agricola potrebbe farci correre. Poi si soppeserà, possibilmente con temperanza, che è poi la storia della nostra stessa agricoltura: diecimila anni di temperanza, che ora – a ben pensarci – sono stati consegnati a noi. Che ne faremo del nostro quinto d’ettaro?
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