Cosa nostra siciliana ribolle di tensioni interne che potrebbero interrompere la strategia del silenzio. Anche tra i clan di Camorra monta un malessere mai del tutto sopito che le nuove leve dei “quartieri” sono pronte a sfogare in faide sanguinose. Invariata resta la preminenza dei gruppi calabresi (articolo a parte, ndr). Intanto anche le mafie straniere tornano a rialzare la cresta, mentre il vero piatto ghiotto sono i grandi appalti e le aziende decotte, a causa della crisi, usate dalla criminalità per lavare il denaro illecito. È l’analisi contenuta nelle trecento pagine di relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia. Il «basso profilo» adottato negli ultimi anni dai clan siciliani «per eludere l’attenzione investigativa » ha lasciato il posto ad «un innalzamento del livello della sfida», si legge. Lo prova la «protervia manifestata attraverso ripetuti atti intimidatori e minacce nei confronti di esponenti della magistratura siciliana e delle istituzioni locali, nonché di rappresentanti di organizzazioni pubbliche e private impegnati, a vario titolo, nella lotta antimafia ». Il capo indiscusso pare essere sempre il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro, che potrebbe però aver perso parte della sua influenza su alcune cosche palermitane e altre della Sicilia Orientale. Perciò i padrini isolani vengono definiti alla «ricerca di nuovi equilibri», intenti a recuperare «il proprio predominio sul territorio» anche se «la mancanza di una leadership nella pienezza dei poteri impedisce la definizione di strategie operative di vasto respiro e fa sì che l’organizzazione sia ancora influenzata dalle direttive provenienti da capi detenuti e latitanti, ben più autorevoli degli emergenti». Neanche quello camorrista è un vulcano spento. «Preoccupa la manifesta propensione allo scontro armato da parte di gruppi nemmeno ben strutturati », avvertono gli investigatori. Clan che vogliono imporre «la loro leadership su porzioni anche piccole di territorio, scalzando preesistenti organizzazioni in momentanea difficoltà». Il quadro delineato conferma, «in continuità con quanto rilevato nei periodo precedenti, non solo la capacità penetrativa delle organizzazioni criminali campane nel tessuto socio-economico regionale, extra regionale e transnazionale, ma anche la capacità dei clan di rigenerarsi, trovando nuovi adepti e nuovi spazi di operatività, anche dopo essere stati colpiti da provvedimenti che incidono sia sulla struttura organizzativa sia sugli assetti economici». A confermare l’evoluzione negativa i dati sugli omicidi commessi nel secondo semestre 2013: 10 gli episodi tra appartenenti a gruppi camorristi contro i 4 della criminalità organizzata pugliese, i 3 della ’ndrangheta e i 2 della criminalità organizzata siciliana.