venerdì 17 giugno 2022
Il governista ministro degli Esteri rimprovera al leader di avere una politica ambigua verso Palazzo Chigi. E c'è pure il nodo del doppio mandato
Sotto attacco. Giuseppe Conte, leader dei 5 stelle, è duramente contestato da Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e figura di spicco del movimento

Sotto attacco. Giuseppe Conte, leader dei 5 stelle, è duramente contestato da Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e figura di spicco del movimento - Ansa

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Chi si aspettava che Luigi Di Maio restasse sotto coperta, è rimasto sorpreso. Il ministro degli Esteri, proprio nel giorno in cui il premier Mario Draghi è a Kiev per una cruciale missione internazionale, convoca i cronisti alle 12,30 in piazza Parlamento, con una modalità che ha ricordato, agli addetti ai lavori, quella con cui Giuseppe Conte si accomiatò da Palazzo Chigi. Nel mirino di Di Maio c’è proprio lui, l’avvocato del popolo. «Alle Comunali non siamo mai andati così male, il nostro elettorato è disorientato, non è ben consapevole di quale sia la visione», accusa il ministro degli Esteri mettendo apertamente in discussione la lettura del voto fatta dal leader Conte.

L’ultima volta che Di Maio si era esposto così tanto era la sera della ri-elezione di Sergio Mattarella quando, protetto da un drappello di parlamentari fedelissimi, aveva chiesto a Conte «spiegazioni» sul modo in cui aveva gestito la partita del Quirinale. Era una dichiarazione di guerra, guerra che però sinora si era consumata nel silenzio. Adesso invece Di Maio chiede al suo leader di assumersi le «responsabilità», di «non fare risalire i problemi all’elezione del presidente della Repubblica».

La colpa, per il ministro degli Esteri, è delle «ambiguità» del Movimento a trazione contiana. In particolare sul governo e sulla politica estera: Di Maio chiede all’ex premier di «non inseguire Salvini» negli attacchi a Draghi, e ricorda al suo leader che nel conflitto «non siamo un Paese neutrale», quindi «no» a risoluzioni che «ci allontanano dall’Europa e dalla Nato». Poi le frecciate sulla gestione interna del Movimento: «Serve un grande sforzo di democrazia interna, serve più inclusività, anche verso l’esterno». «Dico queste cose a voi – dice infine ai cronisti – perché non ci sono altri luoghi».

Le frizioni ormai non sono più nascoste sotto un tappeto. Di Maio dimostra di aver annotato tutti gli attacchi indiretti di Conte delle ultime settimane: «Non è vero che la diplomazia lavora solo di domenica, lavora tutti i giorni», dice riprendendo le critiche dell’ex premier alla strategia italiana sul conflitto. Piuttosto, rilancia l’ex leader, «non si può attaccare il governo un giorno sì e un giorno no».

La replica di Giuseppe Conte non si fa attendere. Ed è della stessa durezza. Le critiche di Di Maio sulla democrazia interna «fanno sorridere, non accetto lezioni», dice l’attuale leader ricordando quando lo stesso Di Maio era il «capo unico». Non risponde, l’ex premier, sulla posizione che assumerà M5s sulla risoluzione del 21 giugno perché «non parla mentre Draghi è in missione», ma è una «stupidaggine» accusarlo di staccarsi dalla linea europeista e atlantica. «Il mio telefono non è mai squillato – replica ancora a Di Maio che lamenta mancato ascolto –, chieda audizione al Consiglio nazionale».

È davvero l’inizio della resa dei conti. Per l’ex premier non ci sono dubbi: le parole di Di Maio sarebbero influenzate dalle «fibrillazioni» sul voto inerente il limite dei due mandati, previsto a fine giugno. Il ministro degli Esteri è tra gli eventuali interessati alle deroghe. E Conte sembra avere, come strategia, quella di apostrofare "attaccato alla poltrona" chi lo mette in discussione.

Allo stesso tempo, Di Maio è ambito dai riformisti del Pd come eventuale capo M5s alternativo a Conte, o come leader di una formazione post-grillina vicina ai moderati.

«Ce lo dirà lui se vuole fare un partito», dice l’avvocato del popolo al "suo" ministro degli Esteri. Lo strappo tra i due, o la difficile ricucitura, probabilmente si consumerà ancora prima del voto sul doppio mandato, perché Di Maio non vuole apparire come chi se ne va perché non candidabile. Decisivo è come sarà formulato il quesito on line: la scelta sarà tra la conferma secca della regola dei due mandati e un’alternativa più o meno "votabile" a seconda di come si svilupperanno i rapporti politici.

Certo mai come ora M5s sembra sul punto di una scissione. E Conte, in serata, rincara la dose: «Dire che faccio come Salvini significa offendere la nostra comunità. Di Maio con me in campagna elettorale ha fatto due foto, io ho messo la faccia ovunque».

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