giovedì 10 gennaio 2013
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​Giacca immacolata, guanti bianchi e professionalità impeccabile. «Conoscono alla perfezione il galateo. Hanno imparato a essere molto attenti ai bisogni dell’ospite, ma sempre in maniera discreta». Silvia Polleri è una donna elegante e precisa. E soprattutto ama le sfide impegnative. “Qualità” e “professionalità” sono le parole d’ordine della cooperativa “Abc. La sapienza in tavola” che porta in giro per l’Italia i suoi strepitosi menu preparati nelle cucine del carcere milanese di Bollate. Nove i detenuti assunti, di cui quattro ammessi al lavoro esterno che si occupano dell’allestimento dei catering. Purtroppo, in questo momento, le assunzioni sono ferme. Colpa dell’incertezza sul destino della Legge Smuraglia, che prevede benefici contributivi e fiscali per le aziende e le cooperative che lavorano in carcere. «Se assumessi un altro detenuto dovrei pagarlo quanto una persona assunta all’esterno - spiega Polleri -. Ma con tutti gli svantaggi che comporta il carcere, ad esempio la mobilità ridotta. E l’onere di formarlo da zero».In questi otto anni hanno lavorato nelle cucine di Bollate circa 40-50 di detenuti. «Sono in contatto con molti di loro, che mi raccontano della loro nuova vita fuori dal carcere. Mi mandano le foto dei loro bimbi», spiega Polleri.Le statistiche sono inoppugnabili (recidiva al 10% tra i detenuti-lavoratori contro il 70% di chi non ha avuto questa possibilità, ndr), ma fredde. Mentre l’esperienza di chi ha portato del lavoro vero all’interno dei penitenziari restituisce dignità e vita ai numeri. «Uno dei miei ragazzi mi ha raccontato che ogni tanto va a guardare le sue buste paga. Le ordina e se le riconta con soddisfazione - dice Silvia Polleri -. Ammette che alzarsi tutte le mattine all’alba per essere in cucina alle 6.30 gli pesa. Ma si è reso conto che era proprio questo a mancargli».Molti degli ex detenuti che hanno lavorato ad “Abc” sono rimasti nel mondo della ristorazione, come cuochi, pizzaioli o camerieri. Ma anche coloro che hanno scelto altre professioni portano sempre con sé le lezioni apprese nella cucina di Bollate: serietà e cultura del lavoro. Un risultato non da poco se si pensa che, al momento dell’assunzione, i detenuti-lavoratori di “Abc” non hanno una formazione specifica, non hanno rispetto per le regole. E spesso non hanno mai lavorato in vita loro. «Io devo trasmettere loro la cultura della quotidianità del lavoro - spiega Polleri -. E quello che imparano qui, lo porteranno con sé per tutta la vita».Un lavoro lungo e faticoso, ma ricco di soddisfazioni. «Ripeto spesso ai miei ragazzi che la società ha dato loro “il fine pena mai”. Che lo stigma del carcere resterà gli resterà attaccato - conclude Polleri -. Ma so che quando i miei ragazzi sono in servizio, bellissimi nella loro uniforme, l’abbiamo fatta in barba a tutti».
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