sabato 9 aprile 2022
In carcere dall’età di 22 anni, ha discusso una tesi sull’indulto. Con lui c’erano professori e volontari. Sono 44 i detenuti che hanno intrapreso un percorso di studi universitario in Calabria
La laurea di Gennaro, martedì, di spalle, abbracciato dai suoi docenti

La laurea di Gennaro, martedì, di spalle, abbracciato dai suoi docenti - Collaboratori

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«Vuole continuare a studiare e a settembre s’iscriverà a Psicologia. Ormai ha rotto i muri, è riuscito a evadere e non vuole tornare recluso. Se fosse stato seguito da bambino, a scuola, non si troverebbe qui». Ha ragione Adriana Caruso, donna di buona volontà che da dodici anni aiuta i detenuti del carcere di Corigliano Rossano a laurearsi. Il primo iscritto nel 2010, martedì invece il primo a raggiungere la magistrale in Scienze politiche e Relazioni internazionali. Si chiama Gennaro, ha cinquanta anni e arriva da uno dei quartieri più difficili di Napoli. È dentro da quando ne aveva ventidue. Una vita.

Quattro giorni fa ha coronato il sogno che spesso emoziona più i genitori che gli studenti. Con tanto di toga, ha discusso in maniera impeccabile la tesi su "Provvedimenti clemenziali del Parlamento. L’indulto del 2006", meritandosi il 110 e lode. Erano in tanti a gioire con lui: dal direttore Maria Luisa Mendicino al cappellano don Piero Frizzarin, dal vescovo di Rossano Cariati Maurizio Aloise al magistrato di sorveglianza, ai docenti della commissione.

È felice Adriana, che con la sua associazione, "Mamre", è stata sempre accanto a Gennaro e agli altri detenuti che hanno scelto la strada universitaria. Sono quarantaquattro nei vari istituti calabresi. La maggior parte a Rossano, ma anche a Catanzaro e Paola.

Ce n’è uno pure a Oristano, dove è stato trasferito il primo studente che aprì la strada dodici anni fa quando era recluso in Calabria. Assieme a un altro giovane si erano iscritti alla sezione dell’Istituto industriale che era stata attivata nel penitenziario, e siccome riuscivano bene, oltre a essersi appassionati, cominciarono a pensare alla possibilità di continuare a studiare, magari iscrivendosi all’università.

Come Gennaro, avevano scoperto un nuovo mondo, una vita diversa, e non volevano lasciarsela scappare via un’altra volta. Non sapendo se fosse possibile, né eventualmente come fare, chiesero ad Adriana che in quel periodo assieme al marito portava avanti dietro le sbarre un progetto teatrale. Tutto cominciò così, non per caso ma per la buona volontà dei due studenti e la mano tesa dell’ex maestra, che racconta: «Avevano poco più di trent’anni e stavano scontando condanne gravi, ma volevano provarci».

Dopo anni di lavoro sottotraccia, o quasi, l’Università della Calabria ha siglato un’intesa col Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) regionale, creando nel 2018 il Polo universitario penitenziario (Pup). Cruciale l’impegno dei docenti dell’ateneo cosentino Franca Garreffa e Piero Fantozzi, così come dell’ex docente di religione Igino Romano, impegnato pure con l’Azione cattolica, che opera al fianco di Adriana Caruso e degli altri volontari.

Storie nella storia, come quella di Gennaro che Adriana, docente elementare in pensione, ha scoperto essere dislessico. Anche per questo a scuola aveva più difficoltà degli altri a imparare ed è stato bocciato: anche questo lo aveva spinto a lasciare la scuola diventando, lontano dalla classe, facile preda della camorra. Analisi sociologiche e report statistici raccontano, d’altronde, che la bocciatura è spesso il primo passo verso l’abbandono scolastico.

Oggi la laurea di Gennaro non è solo un riscatto personale ma anche un successo e un beneficio per la società che recupera un cittadino e ottiene un professionista di qualità. Ed è soprattutto la prova provata che un buon maestro, o una buona maestra, può cambiarti la vita.




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