martedì 9 agosto 2022
Ci sono voluti cinque casi in sette giorni per rialzare l’asticella dell’attenzione sull’abisso delle carceri italiane
Carceri e suicidi, ora si muove il Dap ma le linee guida fanno già discutere

Ansa

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Ci sono voluti cinque suicidi in sette giorni per rialzare l’asticella dell’attenzione sull’abisso delle carceri italiane. Se non quella della politica – impegnata su ben altri fronti in queste calde giornate d’agosto –, almeno quella del Dipartimento di amministrazione penitenziaria che (come preannunciato settimana scorsa sulle pagine di Avvenire dal Garante dei detenuti, Mauro Palma) ieri ha varato le sue “Linee guida per le prevenzione dei suicidi”, appunto, inviando una circolare ai provveditori e ai direttori di tutti gli istituti italiani. Obiettivo, sulla carta almeno: rinnovare, anche con il coinvolgimento delle autorità sanitarie locali, gli strumenti di intervento e le modalità per arrivare prima nelle tragedie che troppo spesso nelle ultime settimane hanno coinvolto le strutture di detenzione.

La lista delle cose da fare è lunga e molto complicata considerando i numerosi problemi da gestire nella quotidianità degli istituti, sovraffollati e spesso in condizioni strutturali precarie: per il Dap, in sostanza, saranno gli staff multidisciplinari – composti da direttore, comandante, educatore, medico e psicologo – a svolgere in ogni struttura l’analisi congiunta delle situazioni a rischio, al fine di individuare dei protocolli operativi in grado di far emergere i cosiddetti “eventi sentinella”, quei fatti o quelle specifiche circostanze indicative della condizione di marcato disagio della persona detenuta «che possono essere intercettati dai componenti dell’Ufficio matricola, dai funzionari giuridico-pedagogici, dal personale di Polizia penitenziaria operante nei reparti detentivi, dagli assistenti volontari, dagli insegnanti» ed essere rivelatori del rischio di un successivo possibile gesto estremo.

Nella circolare, inoltre, il capo del Dap invita i provveditori a garantire una particolare attenzione alla formazione specifica del personale «attraverso cicli di incontri a livello centrale e locale, destinati a tutti gli attori del processo di presa in carico delle persone detenute». Misura di ancor più difficile applicazione, considerando l’altro annoso problema degli organici dietro le sbarre.

Proprio ieri sul tavolo del capo del Dap era stata recapitata la lettera-appello dell’Unione delle camere penali (Ucpi), scritta sulla spinta delle «drammatiche notizie giunte in questi giorni dagli istituti penitenziari, relative al numero di suicidi e allo stato di enorme sofferenza dei detenuti aggravato dall’incessante caldo».

Gli avvocati penalisti chiedono un incontro urgente con in vertici dell’amministrazione penitenziaria proprio con lo scopo di comprendere «le modalità con cui viene affrontata questa emergenza, che sta rendendo ancor di più la detenzione in Italia contraria alle più elementari regole della vita in un Paese civile» e insistono, citando sempre l’intervista rilasciata dal Garante ad Avvenire, sull’impossibilità di tradurre in pratica “l’approccio multidisciplinare” suggerito dalle stesse Linee guida. Anche perché, e questo lo ha ricordato con un duro intervento il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, David Lazzari, «i presidi sanitari nelle carceri sono sguarniti di professionisti della salute mentale».

«Chi c’è – spiega – fa naturalmente del suo meglio, ma spesso né il numero di ore né gli strumenti forniti sono completamente adeguati. In più gli psicologi esperti ex art. 80 hanno un numero di ore così esiguo che non resta tempo per lavorare sul trattamento oltre che sull’osservazione e spesso nemmeno per lavorare in maniera integrata con i colleghi dei servizi sanitari». Sarebbe più lungimirante, allora, «rivedere il ruolo dello psicologo nell’ordinamento penitenziario e farne parte integrante dello staff – continua Lazzari –.Una figura che lavori su più fronti per contribuire concretamente all’individuazione del trattamento in carcere e lavorare sul benessere della comunità carceraria tutta. La Comunità professionale psicologica, attraverso di noi, da tempo ha avanzato proposte e siamo pronti a collaborare se si vuole fare davvero qualcosa».

Ma ci sono anche interventi di facile attuazione che potrebbero immediatamente alleggerire lo stato di tensione accumulato dietro le sbarre nelle ultime settimane di caldo torrido (con molte carceri in emergenza idrica, oltre che stracolme): favorire i contatti dei detenuti con le famiglie, per esempio, attraverso telefonate e incontri è la strada indicata da Antigone nell’ultimo, choccante rapporto sulle condizioni drammatiche dei detenuti reso pubblico appena un paio di settimane fa, e ribadita dal Garante Mauro Palma. «Per ridurre i suicidi – ha detto su queste pagine – nel carcere bisogna far entrare la speranza».

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