martedì 27 luglio 2010
Parla Angelo Agostini, direttore del trimestrale "Problemi dell'informazione": un sistema distributivo di giornali e periodici «fermo agli anni Cinquanta», la ventennale miopia di diversi governi, la necessità per gli editori di nuovi interlocutori.
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«Forse gli editori stanno sbagliando a considerarla solo una questione di settore». Angelo Agostini usa il dubitativo ma la sua è più che una certezza. Docente allo Iulm di Milano e osservatore privilegiato, alla guida del trimestrale del Mulino "Problemi dell’informazione", fondato da Paolo Murialdi, è convinto che il problema dell’abolizione delle speciali tariffe postali per l’editoria debba essere affrontato non solo da «delitto mediatico», ma come un aspetto di un più generale delitto postale.Vorrebbe dire che l’editoria è vittima di una crisi del servizio postale?Voglio dire che c’è una vasta questione legata alla distribuzione postale. Un problema enorme di servizio pubblico che non è più garantito, soprattutto al di fuori delle aree urbane e a prezzi ragionevoli. E non si può farne solo un problema di settore. Si tratta di una questione strutturale che riguarda il servizio postale e come tale dovrebbe essere affrontata. Siamo di fronte a un servizio pubblico che, come altri servizi pubblici in Italia, non è più capace di fare quello per cui è stato ideato. Le Poste sono una Spa a capitale statale, che ha moltiplicato la propria offerta e svolge sempre meno servizio postale. Ci sono vaste aree del Paese che sono state marginalizzate, il personale non è sufficiente, i ritardi nelle consegne a volte clamorosi, le file agli sportelli infinite e i prezzi, come sostengono gli editori, fuori mercato. Si assiste così, in pieno terzo millennio, al paradosso di regioni che stanno lavorando per dotare di larga banda le aree montane, quando un servizio essenziale come quello delle poste risulta essere sempre più carente per intere comunità locali. È una vero e proprio problema di cittadinanza.E gli editori che armi hanno per modificare la situazione?Prima di tutto dovrebbero cominciare a pensare in modo più innovativo. Il sistema distributivo dei giornali e dei periodici è fermo a un’idea di distribuzione che era degli anni 50. Allo stesso tempo bisognerebbe tener conto (agendo di conseguenza) che non tutti i prodotti editoriali possono assurgere alla qualifica di servizio pubblico e quindi giovarsi di tariffe agevolate.Resta il fatto che in Italia le Poste sono l’unico interlocutore. La Ue impone che nel 2011 il mercato sia libero, ma all’orizzonte non si vedono alternative.Non c’è alcun dubbio che il problema, nel suo insieme, dovrebbe essere affrontato dal governo, che se fosse lungimirante, avrebbe la forza culturale per trovare soluzioni. E non si tratta di una semplice questione di colore politico. Da due decenni, ormai, in questo Paese c’è bisogno di ridefinire il concetto stesso di servizio pubblico. Invece ci si permette di portare in giro per anni gli editori e l’opinione pubblica con la storia degli stati generali dell’editoria. Una balla mediatica che tirano fuori quando non sanno cosa dire. Però se gli editori smettessero di considerare la questione come un problema di settore si aprirebbero nuove prospettive. Del resto sono anni che bussano alla porta del governo, con tutti i governi, senza ricevere risposte eque, vedendo anzi peggiorare la situazione. Sta pensando a qualcosa di concreto?Forse dovrebbero bussare ad altre porte.Quali?La strada potrebbe essere quella indicata dalla provincia autonoma di Bolzano. Loro stanno studiando soluzioni alternative per la distribuzione postale sul territorio, ritenendo che il servizio offerto da Poste non sia più adeguato. Hanno già chiesto al governo centrale di potersi organizzare autonomamente. Ecco, il futuro della distribuzione editoriale, a cominciare da quella fortemente caratterizzante per il territorio, potrebbe essere negli enti locali. Invece di bussare alla porta del governo centrale dovrebbero bussare a quelle dei governatori delle Regioni per individuare con loro soluzioni alternative, che consentano di far arrivare i loro prodotti nelle case della gente sulla base di un rapporto efficienza-prezzo competitivo, garantendosi in questo modo migliori opportunità, per esempio, nello sfruttamento della pubblicità locale.Saremmo al federalismo postale. La fine di un epoca...Sulle questioni di servizio pubblico non si dovrebbe gioire di fronte a sconfitte così palesi. Sul servizio postale si sono costruite le nazioni.
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