mercoledì 13 novembre 2019
Occorre comparare anche la "specifica compromissione" dei diritti umani nel Paese di origine. Le Sezioni Unite si sono espresse sulla non applicabilità della retroattività del decreto sicurezza
Cassazione: per la protezione umanitaria non basta l'integrazione
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Il solo dato di essersi socialmente ed economicamente inseriti nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Lo hanno sancito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sostenendo che occorre comparare anche la "specifica compromissione" dei diritti umani nel Paese di origine. E nel contempo viene stabilito che non è possibile applicare retroattivamente il decreto Sicurezza.

Tutte e tre le sentenze depositate dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione accolgono i ricorsi del Viminale con cui erano state impugnate pronunce di Corti d'appello (Firenze e Trieste) favorevoli al riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari in tre distinti procedimenti: il primo riguardava un cittadino bengalese che aveva ottenuto un'assunzione in Italia, il secondo un gambiano che "studia e coltiva i suoi principali legami sociali" nel nostro Paese, mentre in Gambia "non ha rapporti familiari di rilievo", e il terzo un altro gambiano per il quale i giudici di Trieste avevano riconosciuto la protezione sulla base era "situazione critica dovuta al disordine complessivo del Gambia e alle primitive strutture giudiziarie e carcerarie sotto il profilo della tutela dei diritti individuali, considerato che sarebbe stato sottoposto a procedimento penale ove fosse rientrato nel Paese di provenienza".

Per tutti e tre i casi, la Corte ha disposto un processo d'appello-bis, che tenga conto dei principi oggi enunciati: con le sentenze odierne, si condivide infatti l'orientamento che "assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado di integrazione effettiva nel nostro Paese - scrivono gli alti giudici - e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale". "Non può essere riconosciuto - scrivono ancora i giudizi della Suprema Corte - al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza".

L'altro punto su cui si è espressa la Corte di Cassazione è la questione della retroattività del decreto Sicurezza voluto dall'ex ministro dell'interno Matteo Salvini (dl 4 ottobre 2018 n. 113) ed entrato in vigore il 5 ottobre 2018 con l'introduzione di norme più rigide in tema di immigrazione e sicurezza urbana. Di fatto il decreto non è applicabile in modo retroattivo e dunque non è valido per le domande di soggiorno pendenti al momento della loro entrata in vigore.

La misura era stata approvata dal governo Conte I, convertita in legge dal Parlamento nel dicembre 2018, e fortemente criticata sul piano giuridico. Le Caritas d'Italia avevano preso una posizione netta rispetto alla misura e alcuni rilievi erano stati presentati anche dal presidente della Repubblica.


Con le tre le sentenze depositate dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione viene definitivamente fatta chiarezza sull'orientamento giurisprudenziale in materia: la normativa prevista dal decreto Sicurezza - convertito in legge nel dicembre dello scorso anno - "non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore - il 5 ottobre 2018 - della nuova legge".

Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute a seguito di alcune pronunce contrastanti tra loro proprio sulla questione della retroattività o meno delle nuove norme in materia di protezione internazionale. Per le domande precedenti l'entrata in vigore della nuova normativa, spiega la Corte, si applicano le previsioni dei 'casi speciali' - con permesso di soggiorno annuale - contenute nello stesso decreto Sicurezza
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