sabato 3 dicembre 2016
Deborah, malata di cancro, scrive a Renzi: «non lasciateci soli, tutelateci». La lettera è stata pubblicata sulla pagina Facebook di Deborah, "magicaDebby"
Deborah, malata di cancro, scrive a Renzi: «Non lasciateci soli»
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«Le scrivo, signor presidente del Consiglio, per chiederle perché nessuno tutela noi malati oncologici, se è vero che lo Stato non ci lascia soli. Perché, se viene tutelato il lavoro, veniamo licenziati per non essere in grado di poter tornare a lavorare? ». Lei si chiama Deborah Beretta, ha 41 anni, abita a Vimercate e ha senza dubbio un sorriso contagioso. È sposata, mamma di un bambino di 11 anni, e dal 2014 lotta contro un cancro al colon metastatizzato. Su Facebook racconta da allora la sua storia e oggi è seguita da quasi 50mila persone, che saluta tutte le sere con un personalissimo «Buonanotte, anime belle».

Da settembre, alcuni suoi pensieri sono raccolti nel libro 'Come io ti vedo, pensieri sparsi nell’anima in viaggio con un mostro' (Onda d’Urto Edizioni). «Mi interessa lasciare qualcosa di indelebile al mio bimbo – racconta – e vorrei lanciare un messaggio di speranza. Non permettiamo che le difficoltà ci impediscano di vedere le cose belle della vita». La scorsa notte ha deciso di scrivere una lettera aperta al presidente del Consiglio, Matteo Renzi: «Avere un cancro o una malattia cronica degenerativa è purtroppo ancora una discriminazione, all’interno di una società che non si ferma. Un tempo la parola cancro era tabù, si aveva paura, non si conosceva. Oggi si parla di prevenzione e tutela, ma veniamo lasciati soli».

Oltre a lottare contro il male, infatti, i malati oncologici si trovano a perdere rapidamente il posto di lavoro. Anche nel settore pubblico, dopo il periodo di malattia e quello di aspettativa non retribuita, è necessario rientrare in servizio. Se le condizioni di salute non lo permettono ancora, si perde il posto definitivamente. «Questa è la legge, questo è il sistema. Con il licenziamento – spiega Deborah – viene negata all’ammalato la dignità della normalità. Non è una questione economica, ma sociale: senza lavoro, ci si sente esclusi, fuori da tutto. Il malato rimane da solo perché la società lo considera ormai un peso». Insomma, eliminare la giusta aspirazione alla normalità significa minare la speranza di chi già è costretto a lottare tutti i giorni. «Noi ci aggrappiamo al pensiero di tornare alla nostra noiosissima routine fatta di sveglia, lavoro e tutte quelle cose per cui quasi tutti brontolano. Perché signor presidente del Consiglio, noi di voglia, ne abbiamo tanta. Io non mi arrendo, non arretro, ma mi creda: a volte è davvero difficile avere la forza di non mollare tutto e chiudere gli occhi».

Deborah, però, non si perde d’animo. Collabora con la onlus 'The bridge for hope' per offrire servizi ai malati (anche la terapia del sorriso) e con il sito Fraparentesi. org , per mettere in rete informazioni utili a tutti. E poi, naturalmente, continua a scrivere, per sé stessa e per i suoi cinquantamila followers. «Non racconto la storia della malattia, ma racconto come si può cambiare il punto di vista su di essa. Anche se sto male, riesco sempre a trovare qualcosa di positivo. Ho ancora tanti progetti che mi danno la carica: vorrei portare il mio messaggio di speranza a tutti».

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