mercoledì 27 novembre 2013
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​«Sia chiaro, gran parte degli agricoltori è vittima della "terra dei fuochi" ma è altrettanto vero che alcuni sono stati complici, per paura o per denaro. E per questo degni della galera, perché hanno contribuito al disastro del nostro territorio». È nettissima la condanna di Tommaso De Simone, presidente della Camera di commercio e della Coldiretti di Caserta. Da un lato c’è «la forte preoccupazione per un eccessivo allarme per l’inquinamento da rifiuti», ma dall’altro c’è anche la consapevolezza che «esiste un problema ambientale, pur se in una parte limitata, del territorio». E allora, aggiunge De Simone, «l’unico modo per combattere la camorra che ha fatto scempio della nostra terra è denunciare, comunque e sempre. Non si può essere complici di chi distrugge il futuro della nostra terra». E ripete l’appello fatto su Avvenire più di un anno fa: «Se c’è qualche agricoltore, qualche imprenditore, che ha paura di metterci la faccia, venga da noi. Lo accompagneremo nel percorso di emersione».Presidente, perché siate preoccupati?Il settore agroalimentare casertano, che raccoglie circa 15mila imprese, stava vivendo un periodo particolarmente favorevole. Nel primo semestre di quest’anno, l’export ha avuto un incremento di ben il 38%, diventando il primo di tutta la provincia. La produzione di "cose vere" stava segnando un andamento davvero positivo. L’agroalimentare stava uscendo dalla crisi economica nazionale con mezzi propri. Ora la paura è che un eccesso di allarme freni questa tendenza. Anche perché soprattutto le aziende piccole sono legate al territorio, non possono spostarsi. Molte hanno fatto grandi sacrifici per giungere a questi risultati e ora temono che un "polverone" che non distingue i corretti dai disonesti li possa penalizzare.Avete dati in questo senso?È ancora presto per dirlo, ma la sensazione è che il calo già ci sia. E ci aspettiamo delle forti cadute. Più sui mercati nazionali che all’estero. Ad esempio il consorzio della mozzarella di bufala campana dop ci segnala una riduzione del 40%, mentre una delle più grandi cooperative ortofrutticole ha riscontrato una maggiore attenzione dei committenti stranieri sulle certificazioni, che comunque noi facciamo già da anni sia per la tracciabilità del prodotto che per la presenza di anticrittogamici e altre sostanze inquinanti come i metalli pesanti, provocate dai rifiuti. Sono proprio gli importatori stranieri a chiederlo e noi lo facciamo.Cosa si dovrebbe fare, allora, per aiutare il comparto agroalimentare?Il problema ambientale, è scorretto negarlo, esiste ma è limitato probabilmente a non più del 2-3% del territorio. Allora quello che serve è il momento della comunicazione. Quindi in primo luogo è necessario che chi ha i dati dell’inquinamento li tiri fuori. Poi servirebbe individuare con certezza le aree inquinate per recintarle e vietare ogni tipo di coltivazione, controllandole severamente.Cosa fare di questi terreni?Se è possibile recuperarli con culture no food sarebbe ottimo, magari coltivando la canapa che, oltre ad essere una tradizione delle nostra terra, sta vivendo una nuova stagione interessante, sia nel tessile che nell’edilizia. Altrimenti, se quei terreni sono davvero improduttivi meglio piantare alberi, come recupero ambientale e anche delle deturpazioni del paesaggio.
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