giovedì 31 marzo 2016
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Per estirpare la camorra occorre prosciugare la società civile dalla maledizione della cultura camorristica. Da quei modi di fare, cioè, prepotenti, illegali, o legalmente ingiusti, che di fatto tengono in vita la camorra.  Il camorrista è una persona che si è, volontariamente, messa dalla parte del male. Ammaliata da una patologica sete di guadagno, non guarda in faccia a nessuno. Il camorrista – checchè se ne dica – è incapace di amare. Se amasse almeno i suoi figli non li avvierebbe verso la morte o il 41 bis. Intere generazioni hanno pagato, e stanno pagando, un prezzo atroce per le scelte scellerate di parenti, amici, o compaesani camorristi. Il camorrista è un fuorilegge che dalla legge fugge. Un fuorilegge che la legge cerca di arrestare, rinchiudere, punire. Il colletto bianco, no. Il colletto bianco, in genere, è tutelato dalla stessa legge che cerca di raggirare. È meno vulnerabile del camorrista. Meno esposto. Se poi si ritrova a indossare il nobilissimo camice del medico la cosa si fa ancora più insopportabile. Gli abitanti della “terra dei fuochi”, da anni, oltre il danno stanno sopportando una beffa dolorosissima. Non poche volte si sono ritrovati a ripetere amaramente i versi dell’ Adelchi. «Un popolo e l’altro sul collo vi sta. Dividon i servi, dividono gli armenti, si posano insieme sui campi cruenti di un volgo disperso che nome non ha…». Dal camorrista, in fondo, puoi anche tentare di difenderti. Egli è altro. Un corpo estraneo. Un cancro. È il nemico. Può anche vincere – e di fatto ha vinto e magari ancora vincerà - qualche battaglia ma alla fine perderà la guerra. Non può che perderla. La deve perdere. L’ ha già perduta. Il colletto bianco no. Le stesse leggi che raggira lo rassicurano. Lo difendono. Gli fanno da argine. Il colletto bianco gode del rispetto di tutti. Viene servito e riverito. Parla bene. È ricco. È preparato. Se è un medico, esercita una professione antica, nobilissima, degna di stima e di gratitudine. Egli accoglie la persona nel momento del dolore, cura la sua malattia, la rimette in piede. Ogni medico dovrebbe baciare il camice al momento di indossarlo. Come i preti baciano la stola prima della Messa. I medici godono di una simpatia innata. In loro viene riposta una fiducia immensa. Meglio di chiunque conoscono le sofferenze, le ambasce, le paure, le speranze di tanti cuori. Una loro parola, pronunciata al momento giusto, può portare serenità o gettare nello sconforto il paziente e i suoi parenti. Ai medici la società deve essere grata e riconoscente. Per i medici i credenti pregano. Dai medici si pretende quella trasparenza che si richiede a tutti coloro la cui professione incide nel tessuto vivo della vita. La sanità in Campania è allo sbando. Lo abbiamo scritto su queste stesse pagine tante volte. In più occasioni abbiamo portato non le nostre opinioni, ma le storie vere di ricoverati umiliati e bistrattati. Pazienti costretti a rispettare tempi lunghissimi prima di poter accedere a un esame diagnostico. Tempi che a volte si rivelano fatali. Pazienti costretti a essere ricoverati nei corridoi. Adesso, però, non è un comune cittadino a denunciare lo scempio, ma il dottor Vincenzo De Luca, presidente della Regione. Quanto afferma il Governatore non ci meraviglia per niente. Al contrario non fa che confermare ciò che da sempre sappiamo e vediamo con i nostri occhi. Le sue dichiarazioni sono delle vere picconate che dovrebbero far saltare dalla sedia il nostro ministro della Salute. Le parole di De Luca sono pietre miliari destinate a pesare: «Dobbiamo fare i conti con gente che ruba: a volte si allungano le liste d’attesa perché abbiamo primari che fanno prestazioni libero-professionali dentro le strutture pubbliche… C’è qualche chirurgo che guadagna 800mila euro, un milione l’anno per attività privata intramoenia cioè svolta nelle strutture pubbliche». Chi ruba è un ladro. Un ladro che va arrestato e punito. Chi ruba per dar da mangiare ai figli è meno colpevole di un professionista che gioca con la vita della povera gente per la bramosia del possesso. E se lo fa servendosi delle strutture pubbliche, al servizio dei cittadini, è doppiamente colpevole e deplorevole. Occorre prosciugare la palude nella quale affonda le radici la camorra. Se lo facciamo siamo sulla buona strada per vederla debellata.
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