venerdì 24 febbraio 2017
Alla Camera I e II commissione chiedono di attendere i pareri necessari a votare il relatore. Cure palliative, dibattito al Gemelli: «Sedazione profonda non è eutanasia». Sì all’idratazione
Fine vita, più tempo per riflettere. L'approdo in aula a marzo
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Nuovo rinvio per l’ingresso in aula del disegno di legge sulle disposizioni anticipate di trattamento. Previsto per lunedì 27 febbraio, cioè dopo l’acquisizione dei pareri delle commissioni necessaria per incaricare il relatore, l’inizio del dibattito nell’emiciclo di Montecitorio dovrebbe cominciare non prima del 2 marzo. Le commissioni Affari costituzionali e Giustizia hanno chiesto più tempo e si riuniranno il 1° marzo. Un iter parlamentare complesso, che riflette la delicatezza del tema, di cui si è discusso proprio ieri alla tavola rotonda dell’Università Cattolica proprio su fine vita e cure palliative.

Slitta l’inizio del dibattito in aula
I presidenti delle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia, Andrea Mazziotti (Civici e innovatori) e Donatella Ferranti (Pd) hanno scritto al presidente della commissione Affari sociali per comunicargli la richiesta, approvata a maggioranza (tranne Si- Sel e M5S) di rinviare al 1° marzo i pareri richiesti. L’incarico al relatore verrà assegnato il giorno successivo, il 2. Il presidente della Affari sociali, Mario Marazziti (Des-Cd) ha informato la presidente Laura Boldrini. Non è escluso un ulteriore allungamento dei tempi, se i deputati centristi e di destra delle due commissioni, contrari a questo testo, decideranno di intervenire in massa. Allontanando ulteriormente l’approvazione e poi l’esame in seconda lettura al Senato. Pentastellati e Sel, spiega Mario Marazziti, «si sono detti contrari allo slittamento, il Pd alla fine lo ha concesso perché in Affari sociali abbiamo l’intenzione di dare comunque il mandato al relatore giovedì 2». Un ulteriore prolungamento del dibattito, secondo Marazziti, non impedirebbe comunque l’approdo in aula: «Possiamo andarci lo stesso e i pareri delle commissioni arriveranno in assemblea. La Bilancio ci ha già fatto sapere che il suo parere arriverà in aula. Certo col testo in aula a marzo i tempi non saranno più contingentati». L’allungamento dei tempi non piace al presidente della I commissione: «Non accetterò altri rinvii», dice Andrea Mazziotti: «L’accordo tra i gruppi è che mercoledì si chiude. Spero che nessuno lo violi». Soddisfatta invece Paola Binetti (Udc): «Le commissioni hanno ritenuto che il testo meritasse un’attenzione reale e hanno chiesto qualche giorno in più». Per la deputata «è necessario riflettere ed entrare nel merito delle diverse questioni, per rispetto ai futuri pazienti, ai medici e a noi parlamentari».

Cure anche per chi è incurabile
E al Policlinico Gemelli si è discusso proprio sul tema «La complessità dei bisogni nella fase ultima della vita», all’incontro promosso dai Centri di Ateneo di bioetica e per la vita. Il rettore della Cattolica Franco Anelli sottolinea che il nodo «non è quando e da chi debba essere spenta la vita, ma l’accompagnamento nella fase ultima: anche l’incurabile deve essere curato ». Sbagliato e pericoloso semplificare: «Per leggere la complessità dei bisogni nella fase ultima della vita – sottolinea Adriano Pessina, direttore del Centro di ateneo di bioetica della Cattolica – abbiamo bisogno di un pensiero complesso». E ricorda che il fine vita «ci riguarda tutti: un tema che va ripensato, per lanciare un messaggio rassicurante all’opinione pubblica che lo guarda sotto l’aspetto dell’angoscia, o con la paura che lo sforzo medico diventi una prigione per spirito e corpo». Rassicurare dunque. E fare chiarezza. Come sulla sedazione profonda, che non è eutanasia, chiarisce Rodolfo Proietti, membro del Comitato nazionale di bioetica, già ordinario di anestesiologia alla Cattolica. «Le cure palliative – dice – nel 95% dei casi le devono saper fare tutti i medici. L’anestesista entra in quel 5% in cui il dolore è un sintomo refrattario: un 4% lo si controlla con tecniche invasive, ma poi c’è la sofferenza incontrollabile degli ultimi giorni o ore di vita: fisica, psicologica, spirituale. Persone che hanno preso coscienza della morte e chiedono di morire senza soffrire, addormentati. È la sedazione profonda o terminale, che in media dura due o tre giorni. Non è un assolutamente una tecnica di eutanasia, ha detto il Comitato di bioetica, ma un atto terapeutico dovuto: si fa solo in determinati casi e l’obiettivo è far dormire, non far morire». Nel caso di Dino Bettamin «il paziente non ha chiesto di staccare il respiratore». Una pratica a rischio strumentalizzazione: «In Francia hanno usato la finestra della sedazione terminale per obbligare la sospensione di terapie, ma anche idratazione e alimentazione. Per il Comitato nazionale di bioetica sono sempre dovute».

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