venerdì 30 marzo 2018
L'ex deputato tornato in magistratura: «L'inchiesta di Foggia è un campanello d'allarme. Spero che Minniti rilanci la legge che avevamo proposto, ma che il Parlamento non ha varato»
Stefano Dambruoso, l'ex deputato tornato in magistratura

Stefano Dambruoso, l'ex deputato tornato in magistratura

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«I vessilli neri del Califfato non sventolano più su Raqqa e Mosul, ma le indagini mostrano come quella propaganda di odio e di terrore abbia colonizzato giovani menti, anche in Italia. È il pericolo maggiore: se non sapremo arginarlo, non solo sul piano investigativo ma anche sociale e culturale, rischieremo di pagare un amaro tributo in futuro». Dopo una legislatura come deputato di Scelta civica e questore della Camera, Stefano Dambruoso sta per indossare di nuovo la toga: se il plenum del Csm confermerà quanto deciso in terza commissione, andrà in Procura a Bologna, dove potrebbe tornare a occuparsi di contrasto al terrorismo, sul quale ha indagato per anni come pm a Milano. Al telefono dagli Usa, ragiona con Avvenire sulle ultime indagini: «Le preoccupazioni del Viminale sono condivisibili, sia sul rischio 'lupi solitari' che sulla minaccia rappresentata dai returnees».

Per quali ragioni?

Dalle aree di conflitto di Siria e Iraq, c’è un reducismo numeroso. I combattenti partiti dal nostro Paese non sono tanti, ma per molti altri siamo stati terra di transito e, dunque, di potenziale 'ritorno' verso i Paesi d’origine.

La inquietano le presenze 'nostrane', come la presunta rete nel Lazio che dava appoggio ad Anis Amri?

Ci sono persone che offrono assistenza 'logistica', case 'sicure' e documenti falsi. E ci sono reti di indottrinamento e reclutamento che possono fare proseliti fra persone fragili, giovani stranieri o italiani convertiti.

A Foggia, la polizia ha arrestato un 'cattivo maestro' che, in italiano, indottrinava bambini come a Raqqa, nel Califfato.

È un campanello d’allarme. Quell’indagine mostra quanto sia facile per i seminatori d’odio pescare fra i più giovani, perfino fra i bimbi, per trasformarli col tempo in jihadisti.

Il ministro dell’Interno parla di «un cuore di tenebra» nel nostro Paese.

È un’immagine angosciante, ma efficace. La sabbia nella clessidra scorre e ormai abbiamo pochi anni per lavorare sul piano della prevenzione culturale e sociale, per evitare che crescano nuovi italiani non integrati, portatori di risentimento sociale. È nelle Molenbeek italiane e nelle carceri che bisogna entrare, per evitare che nascano 'soldati' del terrore. Sarebbe una iattura che pagheremmo con anni di attacchi, come sta avvenendo in Francia, Belgio, Germania e altri Paesi europei, dove diversi attentatori sono figli del malessere delle seconde e terze generazioni.

Roma sta vivendo una Pasqua 'blindata', con
la vigilanza di 10mila agenti. La minaccia è cresciuta? È un prezzo da pagare, in tempi segnati da attentati e migliaia di falsi allarmi. E non è detto che basti: come si è visto, un uomo solo con un’arma o un furgone può colpire luoghi non presidiati, come il supermercato di Carcassonne.

L’Islam moderato italiano ha maturato gli anticorpi sufficienti a isolare gli estremisti?

Nella comunità musulmana cresce la consapevolezza di non volersi far contagiare da predicatori radicali. Ma da sola non è sufficiente. Serve un ventaglio di interventi. E, nella legislatura appena conclusa, il Parlamento ha perso un’occasione.

Si riferisce al disegno di legge sui fenomeni di radicalizzazione, proposto da lei e dal deputato del Pd Andrea Manciulli?

Già. Siamo arrivati letteralmente all’ultimo giorno della legislatura e neppure allora il Parlamento è riuscito ad approvarlo, nonostante ci fossero le coperture necessarie. Può sembrare un rimpianto solo personale, ma non è così.

Perché?

Perché quel testo avrebbe introdotto politiche per analizzare e prevenire la radicalizzazione. Per una volta, l’Italia avrebbe potuto alzare antenne istituzionali e sociali prima, invece di pensare a norme d’emergenza, dopo.

Chi non ha voluto quella legge?

È un caso di miopia del legislatore. Forse, in assenza di attentati in Italia, governo e Parlamento si sono convinti che la situazione sia 'gestibile' attraverso le eccellenti capacità investigative di forze dell’ordine e intelligence – dimostrate anche in queste ore – e con le espulsioni di elementi radicali.

Lei e Manciulli non siete stati ricandidati. Chi rilancerà quelle proposte nel nuovo Parlamento?

Non so. In cuor mio, confido che il ministro dell’Interno uscente Marco Minniti, che ha competenza e autorevolezza, possa portare a compimento quel progetto che, a onor del vero, era nato da una sua intuizione.

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