giovedì 19 maggio 2016
Negli ultimi mesi minacciati altri amministratori. Gli investigatori: così si spartivano il territorio.
Messina, agguato al presidente del parco Nebrodi
«Il piano della mafia dei pascoli»
COMMENTA E CONDIVIDI
«Lo volevano proprio uccidere e il motivo è la sua dura lotta contro l’enorme affare illegale sui contributi europei per i pascoli. Nessuno lo aveva mai fatto». Non ha dubbi l’investigatore che per prudenza non citiamo. Una lotta che poco più di dieci giorni fa aveva segnato un importante punto a favore del presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. Lo scorso 7 maggio il Tar ha, infatti, confermato i provvedimenti interdittivi e la revoca dei terreni a quelle aziende per le quali la prefettura ha accertato contiguità con le famiglie mafiose. È il riconoscimento della correttezza del protocollo di legalità sottoscritto lo scorso anno proprio da Antoci e dal prefetto di Messina, Stefano Trotta. Un documento finalizzato alla prevenzione e alla lotta ai tentativi di infiltrazione mafiosa nel territorio dei Nebrodi grazie alla sinergia tra la Prefettura, la Regione, l’Ente Parco con tutti i Comuni ricadenti all’interno dell’area protetta. Un sistema per evitare che imprenditori vicino a Cosa Nostra possano ottenere contributi dell’Unione europea sui terreni agricoli e in particolare sui pascoli. «Adesso le associazioni mafiose sono definitivamente fuori gioco», afferma quel giorno Antoci e la sua dichiarazione vittoriosa viene messa in bella mostra sul sito istituzionale del Parco. E la mafia ha reagito, con un chiaro progetto di morte. «Non succedeva dalle stragi di Falcone e Borsellino. Da allora le cosche non hanno più ucciso persone delle istituzioni. Ma questa volta – ripete l’investigatore – volevano proprio uccidete. Davvero un progetto eclatante». Ora c’è da capire se organizzato «in alto» o se dietro c’è solo qualche gruppo. Quello che è ormai certo è il contesto, il movente. Il presidente del Parco avrebbe toccato gli interessi di alcune 'famiglie' mafiose, sempre le stesse, che affittano terreni pubblici o privati per pochi euro a ettaro, o addirittura se ne impossessano con metodi estorsivi, fingendo di utilizzarli a pascolo ma la cui unica finalità in realtà è quella di incassare soltanto i contributi europei. «Le 'famiglie' si spartiscono così il territorio e incassano senza alcuna fatica come minimo 500mila euro all’anno per ogni mille ettari», ci spiega ancora l’investigatore. Per tale motivo mesi fa è stata creata una task force voluta dal presidente Antoci e dal questore di Messina Giuseppe Cucchiara che attraverso un’azione sinergica tra Polizia di Stato, Corpo di Vigilanza del Parco e Guardie venatorie contrasta non solo le truffe agricole, ma anche reati antichissimi ma ancora attuali come l’abigeato (furto di bestiame) e la macellazione clandestina, che oltretutto mettono a rischio i consumatori attraverso il potenziale consumo di carni da animali non controllati. Agromafie, la vecchia/ nuova frontiera dell’illegalità. Mafia antica e moderna, molto violenta. Non è un caso che proprio in questa zona siano frequenti gli omicidi di allevatori. Fatti che però finora sono passati quasi sotto silenzio. Ma la lotta all’affare dei pascoli ha fatto riscontrare importanti risultati. Grazie al Protocollo sono state così revocate assegnazioni di terreni pubblici per un totale di 4.200 ettari, che avrebbero garantito 2,5 milioni di fondi Agea e Ue. Inoltre ben 23 aziende su 25 si sono viste rifiutare la certificazione antimafia dalle prefetture di Messina e Enna, per collegamenti con importanti clan mafiosi. Un sistema che funziona, dunque, e che presto sarà applicato anche in Calabria. E forse anche questo sta dietro l’attentato come ha denunciato lo stesso Antoci. «Sono certo di chi siano i mandanti, sono i mafiosi dei Nebrodi ma anche la ’ndrangheta, perché il protocollo che abbiamo messo in atto qui in Sicilia sarà applicato anche in Calabria. Il Consiglio regionale si è già determinato sulla sua approvazione ». Forse non è dunque una coincidenza che siano stati vittime di minacce e intimidazioni anche il presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, Giuseppe Bombino, e quello del Parco nazionale del Pollino, Domenico Pappaterra, come riportato nel rapporto «Amministratori sotto tiro» realizzato da Avviso pubblico, l’associazione tra comuni per la lotta alle mafie. L’ultimo ha colpito Bombino lo scorso 17 febbraio quando sulla sua auto, parcheggiata nel cortile condominiale a Reggio Calabria, è stata fatta trovare una busta di plastica contenente una testa mozzata di capretto. Un chiaro messaggio mafioso. La conferma che la corretta tutela delle aree protette dà molto fastidio alle mafie.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: