venerdì 23 marzo 2018
Il sociologo: la memoria è l'antidoto contro i nostalgici del terrorismo, ma nel 40ennale del rapimento Moro i terroristi sono stati trasformati in strateghi di una guerra rivoluzionaria...
Nando Dalla Chiesa (Omnimilano)

Nando Dalla Chiesa (Omnimilano)

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Il monumento alle vittime di via Fani e ad Aldo Moro è stato oltraggiato due volte: il 21 febbraio, prima ancora del suo completamento, e il 22 marzo, quando è apparsa una scritta inneggiante alle Br.

«Il migliore antidoto contro i nostalgici del terrorismo è la memoria così come si è fatto per la mafia, ma serve anche una corretta informazione, non quella che abbiamo visto in occasione del quarantennale di via Fani». Lo sostiene Nando Dalla Chiesa, sociologo dell’università di Milano, presidente onorario di Libera e figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che combatté terrorismo e mafia.

Partiamo da come è stato raccontato il rapimento di Moro.

Purtroppo hanno rilanciato i terroristi, facendone degli strateghi di una guerra rivoluzionaria persa come si può perdere una campagna elettorale, e con l’analisi sulle cause della sconfitta ma nessun accenno di dolore e di ravvedimento. Ho visto una tv di Stato squadernata davanti a loro. Le parole pesano e girano. Non è che non bisogna intervistarli, ma conta il contesto, il contraddittorio e il gioco delle immagini. Chiunque avesse un minimo di sensibilità storica, sociale, civile o umana vedendo quella serie di interviste non poteva che rimanere preoccupato oltre che indignato. Credo che ci sia un Paese che ha ancora queste cose dentro le viscere. È una società impazzita che non può che produrre dei frutti impazziti.

Con parole sprezzanti nei confronti delle vittime che avrebbero troppo spazio rispetto a loro.

La notte della Repubblica, tanto per citare la trasmissione più famosa, non l’hanno mica raccontata le vittime! Anche un mafioso può essere intervistato, il problema è come lo fai. Lo spazio che metti a disposizione. Questi raccontano quello che hanno fatto da generali di quella rivoluzione.

Che messaggio arriva ai giovani? E come lo recepiscono?

Non è vero che è stata una generazione di brigatisti. È stata una generazione che ha creduto in un grande cambiamento radicale e anche in una rivoluzione, e prima che comparisse con la faccia delle pistola e dei mitra. Era una rivoluzione politica, di costume. Era un grande fiume contro l’autoritarismo e da lì qualcuno ha pensato che per essere coerenti si dovessero prendere le armi. Chi ha pensato che quello potesse essere coerenza è stata una minoranza, chi lo ha fatto e poi portato avanti fino in fondo è stata un’altra esigua minoranza. E lo ammettono loro stessi. Poi ci sono quelli che per togliersi dalle loro responsabilità dicono che erano centinaia di migliaia. Non è vero. È chiaro che se poi li aiuti a costruire l’epica del terrorismo...

Dunque gli elementi storici e sociali sono completamente diversi.

Ex Br e Prima linea hanno provato a infilarsi tra i 'no Tav'. Sono riusciti a costruire il 'mostro' Caselli per due anni, ma poi? Le cose si ripetono ma una volta come tragedia la seconda come farsa. Io penso che in certi ambiti della sinistra antagonista delle simpatie per le Br ci possano essere, ma non ci sono assolutamente le condizioni. Allora erano pochi ma erano molti quelli che pensavano che tutto sommato si doveva fare in quel modo per essere coerenti oppure non avevano la voglia o il coraggio di denunciare chi era uscito dallo stesso fiume.

Come è necessario raccontare ai ragazzi per aiutarli a fare una vera memoria?

Sono stato invitato a Genova in una scuola e mi ha colpito il lavoro sul terrorismo fatto molto bene da diversi insegnanti: la cronologia, le spiegazioni, le immagini. In quella città c’è il mito di Guido Rossa, ma si racconta meno la solitudine in cui dovette fare la sua denuncia contro le Br. È una città che spesso rimuove. Quando ho lavorato con il sindaco Vincenzi sul tema dei diritti ho dovuto far rimettere a posto le lapidi che erano abbandonate come se fossero fiori secchi e su nessuna c’è scritta la parola terrorismo, al massimo 'mano assassina', come un tempo non si scriveva su altre lapidi la parola mafia.

Sul tema mafia siamo più avanti nel recupero della memoria rispetto al terrorismo?

È proprio così. Libera ha operato in un campo e lo ha innaffiato, arricchito di memoria, gli ha dato un senso, ha portato a guardare avanti senza odio. E si vede la differenza. La mafia è un male del Paese su cui fare memoria ed è anche più complicato perché sono 150 anni che le mafie esistono, eppure la memoria è stata costruita, i ragazzi imparano, magari in modo disordinato, però la memoria si fa. L’informazione ha un ruolo fondamentale. E in questi giorni certo non ha aiutato, è stata una cosa clamorosa.

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