giovedì 7 aprile 2016
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Di mamma Teresa, che s’è spenta a Napoli martedì pomeriggio dopo una lunga lotta contro il cancro, ci sono fotografie, sorrisi, i racconti struggenti di chi l’ha conosciuta. E c’è Michael, suo figlio. La vita li ha fatti abbracciare per la prima volta il 14 gennaio scorso all’aeroporto di Fiumicino. Teresa teneva in mano una foto, Michael camminava spaesato: un passaggio difficile, quello da Kinshasa a Roma, per un bimbo di 8 anni vissuto da sempre in un orfanotrofio. Col sogno di una mamma. Quando i suoi occhi l’hanno messa a fuoco, laggiù, tra la gente in attesa, il cuore deve aver smesso di battere. È il 25 settembre 2013 quando Teresa e suo marito Werner mettono in tasca il biglietto per il Congo. Vanno a prendersi il loro bambino con gli amici conosciuti durante il percorso adottivo, Michele e Paolina. Le due coppie hanno scoperto che i figli, Michael e Jordan, sono stati abbandonati lo stesso giorno nell’istituto di Kinshasa dove vivono da quando hanno 3 anni: da quel giorno sono stati inseparabili, cresciuti insieme come fratelli. E così anche le famiglie decidono di conoscersi meglio, di condividere la loro avventura per consentire ai bimbi di continuare a vedersi anche in Italia. Il 25 settembre 2013 però è anche il giorno in cui il governo congolese decide di bloccare le adozioni. Il sogno di Teresa, e delle due famiglie, s’infrange contro l’inaspettato. Da allora è l’odissea che tutti conosciamo, fatta di difficili relazioni internazionali, di contrasti tra governi, poi di graduale distensione fino allo sblocco delle pratiche e all’avvio della revisione dei dossier da parte della Commissione interministeriale congolese creata ad hoc per risolvere la vicenda. Ci sono le notizie che rimbalzano da un capo all’altro del mondo senza un ordine preciso, ci sono le telefonate degli amici e degli altri genitori in attesa, ci sono le comunicazioni degli enti adottivi e della Commissione italiana. C’è confusione, rabbia, disperazione. Ci sono ritardi, errori. L’odissea dei “grandi” della Terra – diplomazie, burocrazie – i piccoli la vivono contando i giorni. Per Teresa ne sono passati quasi 900. E in quei 900 giorni, mentre lei attendeva l’arrivo di un figlio e l’inizio della sua vita, mentre chiedeva spiegazioni e insisteva al telefono con chi poteva per abbracciarlo, alla sua porta s’è presentata la malattia che non lascia scampo. Quando gliel’hanno diagnosticata, anche il suo cuore deve aver smesso di battere. Soltanto un attimo, però. Perché c’era Michael. Michael da portare a casa il prima possibile. I giorni contano, Teresa a volte lo diceva ai suoi amici. Non si riferiva mai alla malattia, del suo cancro lei non parlava, anche quando le ha reso difficile persino muoversi. Qualche settimana fa, quando Michele e Paolina l’hanno sentita l’ultima volta e le hanno chiesto «come stai?» lei ha risposto: «Sono felicissima, a volte non credo ancora che lui stia dormendo nell’altra stanza». Lo avrebbe voluto per più tempo. Werner, adesso, sta cercando di spiegare a Michael che Teresa non c’è più. È un papà forte. Il bimbo sgrana gli occhi e prova a capire: la vita lo ha abituato alle cose difficili. I giorni contano: più dei suoi 8 anni trascorsi solo al mondo, più dei 900 di buio, contano gli 82 in cui l’ha chiamata mamma. Viviana Daloiso © RIPRODUZIONE RISERVATA
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