giovedì 3 novembre 2016
Tra la gente di San Pellegrino paesino distrutto a pochi chilometri da Norcia. Disagi tanti (il freddo di notte, la mancanza delle docce), ma anche buona volontà e sorrisi.
Viaggio tra la gente di San Pellegrino
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Risotto con salsiccia e zucca e per secondo frittata e pomodori. Non si rifiuta mai un invito a pranzo da brava gente, qui ancor meno. Cucinano le donne di San Pellegrino, paesino di centocinquanta abitanti a sette od otto chilometri da Norcia. Ma «eravamo cinquecento persone il 24 agosto », dicono. Paesino massacrato: «Dopo il primo terremoto di due mesi fa erano rimaste cinque, sei case agibili. Adesso è tutto distrutto. Da abbattere e ricostruire». Tutta zona rossa. Fra le case non s’entra più.

La cucina, la sala da pranzo, l’angolo giochi e anche (di domenica) la… chiesa, sono nello stesso tendone bianco messo a disposizione dalla Caritas. L’odore del riso sul fuoco esce fin fuori. Dentro, travasano il vino usando come imbuto il collo rovesciato di una bottoglia di plastica tagliata a metà.

C’è una Madonnina alta un metro fissata, con tre giri di nastro adesivo, a un palo subito dopo l’ingresso della tenda: «Era nella piazza di San Pellegrino, noi siamo molti devoti alla Madonna - spiega Marina Santarelli -. L’ultima scossa l’ha fatta cadere da un metro e mezzo d’altezza, sotto c’era una ringhiera e la caduta gliel’ha fatta addittura scavalcare. Eppure non ha avuto danni, guardi lei stesso ». Così l’hanno portata qui dentro «e guai a chi ce la tocca. Vogliamo stia con noi. E poi pensiamo sia stato un miracolo che quanto è successo non abbia fatto vittime.

Il nastro? È perché non cada di nuovo». Giacomo Leoncelli ha vent’anni, sta dandosi da fare in ogni modo, ha idee e volontà chiare: «Ci proviamo, vogliamo rimanere qui. Dobbiamo vincere noi, non il terremoto». Stanotte la temperatura è scesa un paio di gradi sotto lo zero. La gente rimasta dorme in un’altra grande tenda, qualcuno nelle macchine e qualcun altro dentro due camper, una cinquantina di persone e chi aveva bimbi è dovuto andare negli alberghi. Finora bene o male riescono a scaldarsi, ma se la notte bisogna andare in bagno, è un problema enorme, specie per i più anziani. Perché i due container blu sono a una trentina di metri, nel primo ci sono appunto i bagni e nel secondo le docce, che però sono senz’acqua calda, anzi sono proprio senz’acqua. Manca ancora la corrente e soprattutto manca un banale 'gomito' di metallo o plastica da quindici centimetri per attaccarvi il tubo e finora non c’è stato verso di rimediarlo.

«Ci sentiamo un po’ abbandonati», dice ancora Giacomo: «Sono venuti a trovarci soltanto l’arcivescovo e il vicepresidente della Regione, vengono i Vigili del fuoco, c’è la Forestale ventiquattr’ore su ventiquattro, ma abbiamo fatto tutto da soli e il sindaco di Norcia non s’è visto». Il 4 ottobre era arrivato Papa Francesco: «Sono felice d’essere qui tra voi che avete sofferto per il terremoto », aveva detto loro. La cucina se la sono fatta con un fornellone a gas. Gli stessi bagni erano quelli della Protezione civile portati qui dopo il 24 agosto e dovevano esser portati via, avevano già staccato corrente e acqua, riallacciati proprio da Giacomo e suo padre.

A proposito, l’acqua arriva a tratti e per esempio ieri a un certo punto usciva quasi quasi del fango, tant’è che non la bevono. S’è messo poi in moto il solito welfare molto italiano: «Abbiamo molti amici a Roma che ci chiamano in continuazione chiedendoci di cosa abbiamo bisogno, come anche i nostri parenti che sono fuori». Serve di tutto, nelle case è quasi impossibile entrare anche solo per recuperare qualcosa, lo sfacelo è a portata d’occhio. Servono - per fare un solo, banale eppure decisivo esempio - «piatti, bicchieri e posate di plastica». A tavola, di fronte a noi, siede un nonno di san Pellegrino, un’ottantina d’anni, tosto e gran bel bevitore: «Porca miseria che ha combinato il terremoto - dice speriamo che ricostruiscano, ma chissà quanti anni ci vorranno. Certo, intanto basterebbe che smettessero le scosse.

Quando arriverà la neve non so come faremo». Si ferma, prende il bicchiere e beve, lo poggia: «Sto vino mica me piace, sa de tutto, ma non de vino». Sorride. Come sorridono e si fanno, danno forza quasi tutti gli altri. In qualche modo sorprendenti, non te li aspetti così: maniche rimboccate e umore - che a loro stessi piaccia o meno da tenere comunque alto. Sorprendenti, sì. Come lo è un cartello scritto a mano e piazzato sulle indicazioni stradali una quindicina di chilometri prima di raggiungere Norcia (lì si bisogna deviare per la strada inagibile). C’è disegnata una freccia e scritto: «Cascia Norcia ma jete pianu!».

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