sabato 9 aprile 2016
Da mendicante a giudice. Anina studia alla Sorbona
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Probabilmente in alcuni momenti della sua vita nemmeno lei ci avrebbe sperato. Certo dopo un’infanzia passata a vergognarsi di essere rom, con un lunga tappa anche nel campo nomadi romano Casilino 900 – «la più grande bidonville d’Europa» – ora rivendica «con orgoglio» di essere «e restare Tzigane. Usa la sua nuova lingua Anina Ciuciu, il francese, per autodefinirsi zingara, ora che a 26 anni è arrivata alla Sorbona, dove dopo la laurea in giurisprudenza studia per diventare magistrato. Non ha perso le sue origini e si considera figlia di tre culture: «Rom, rumena e francese». Costretta a scappare a metà degli anni ’90 dalla Romania, il suo viaggio si ferma in Italia. «Al Casilino abbiamo vissuto un anno con il terrore degli sgomberi – racconta – i miei genitori restavano svegli per proteggere me e le mie sorelle. Abbiamo passato giorni peggiori di quelli vissuti in Romania». Sporcizia, odore di gomma arsa, «immagini che mi hanno marcato e traumatizzato», questa era la sua giornata, quando non mendicava. Poi la scelta, raccolti un po’ di soldi, di andare in Francia, dove «non siamo stati ben accolti, abbiamo avuto il rifiuto della richiesta d’asilo e l’obbligo di lasciare il Paese». Infine l’incontro con Jacqueline, un’insegnante, e Marie Claude, un’infermiera, che «ci hanno teso una mano per uscire dall’ingiustizia e ridato dignità ». Un casa, un lavoro per i genitori e per lei la possibilità di studiare fino all’università. Ma non è possibile, ripete questa giovane donna dai lunghi capelli neri, che «la tua vita debba dipendere da un incontro, perché le istituzioni in Francia come in Italia non aiutano». Se fosse rimasta al Casilino, dove è tornata in questi giorni dopo anni trovandolo trasformato in un parco, «avrei continuato a fare quello che fanno i rom oggi – ammette Anina – chiedere l’elemosina, fare figli e subire umiliazioni ». D’altronde per chi vive nell’esclusione sociale e nell’emarginazione quotidiana, «l’unica cosa da fare è mendicare o umi-liarsi, oppure ribellarsi e diventare dei delinquenti». I rom non cercano concessioni, ma «diritti» e le istituzioni hanno la responsabilità di «non fare lo sforzo necessario per superare il problema». La storia di Anina può sembrare il tipico sogno impossibile da realizzare, ma non è così. È lei stessa, difatti, a ricordare che «il cambiamento è possibile e non vuol dire lottare contro le nostre tradizioni». Da piccola le hanno insegnato «a confondersi nella massa, a nascondere l’identità», ma «sono rom e voglio restarlo – continua a ripetere – e nessun bambino rom deve vergognarsi più di ciò».
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