mercoledì 17 marzo 2010

Sul corpo di Stefano i segni di traumi «probabilmente inferti»: così afferma il rapporto della commissione parlamentare d'inchiesta. Lesioni recenti al viso e alle vertebre. I medici non si accorsero che, già un giorno prima di morire, «il paziente aveva raggiunto un punto di non ritorno».

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A provocare la morte di Stefano Cucchi è stata una «grave condizione di disidratazione». Sul volto e sulle vertebre i segni di traumi, «probabilmente inferti». Il suo rifiuto di cure e cibo «non è inteso a non curarsi, ma è strumentale a ottenere contatti con l’avvocato». E il giorno prima della sua morte «nessun medico» capisce che è a «un punto di non ritorno». Proveranno a rianimarlo, ma quando «è morto da tempo». Sono le conclusioni, approvate all’unanimità, della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia, l’efficienza e l’appropriatezza delle cure prestate a Stefano Cucchi. La relazione ora andrà alla Procura e al presidente del Senato, Renato Schifani. «Le botte non sono state letali – commenta Fabio Anselmo, legale dei Cucchi – ma è evidente che se non fosse stato picchiato non sarebbe finito al Pertini e non avrebbe avuto bisogno di quell’assistenza che gli è stata negata». Traumi recenti, dunque: «Nelle autopsie si parlò perfino di malformazioni congenite...».Il presidente della Commissione, il senatore del Pd Ignazio Marino è soddisfatto: «È stato un lavoro condiviso – dice – e questo è importantissimo. Siamo arrivati a conclusioni molto chiare: a Stefano Cucchi, probabilmente sono state inferte lesioni traumatiche che non sono la causa diretta della morte, che è avvenuta per disidratazione legata alla volontà di Cucchi di richiamare su di sé l’attenzione dei suoi legali e del mondo esterno». Marino ricorda che la morte è dipesa, oltre che dalla disidratazione, anche «dall’eccessiva perdita di peso, dieci chili in sei giorni». Quindi, «a detta dei nostri consulenti sarebbe servito un più attento monitoraggio delle condizioni cliniche». Per Marino «ci sono state responsabilità dei medici». Nella relazione, sei pagine divise in cinque capitoletti, si legge che «anche il medico che ha praticato le manovre rianimatorie» attorno alle 6,30 del 22 ottobre «notando una rigidità dei muscoli del collo e dell’articolazione temporo-mandibolare, sapeva che il paziente era morto da tempo». I due consulenti della commissione fissano il decesso almeno tre ore prima, attorno alle 3. «Non credo però - commenta Marino – che l’intento dei medici sia stato quello di falsificare le cartelle». La commissione conclude definendo «certo che Cucchi dopo aver subito le lesioni ed essere stato ricoverato al Pertini con una procedura del tutto anomala chiede di parlare con avvocato, familiari, comunità terapeutica, ma tale colloquio non avrà mai luogo». E i medici non hanno segnalato alla magistratura «la presenza di lesioni di origine traumatica sul corpo del detenuto».«È da escludere che il decesso di Cucchi sia da attribuire alle conseguenze del trauma subito», commenta uno dei due relatori della commissione, Enzo Galioto del Pdl. «Ma questo – dice – è motivo per rivedere e migliorare i rapporti tra l’Amministrazione sanitaria e i detenuti». Meno diplomatica l’altra relatrice, Albertina Soliani del Pd: «Cucchi è morto mentre era in condizioni di arresto e a carico del Servizio sanitario». La sanità in carcere dunque non deve «essere subalterna alle logiche dell’amministrazione penitenziaria. Il cittadino Stefano Cucchi aveva diritto all’attenzione e alle cure più appropriate». «È chiaro – dice Massimo Donadi dell’Idv - che ci troviamo di fronte a un’altra vergogna di Stato. Troppe volte in Italia non c’è stata giustizia e la memoria delle vittime ha dovuto subire anche l’offesa dell’impunità».A difesa delle categorie tirate in ballo parlano il Sappe e il Cimo. Il sindacato di Polizia penitenziaria apprezza la relazione perché «ha escluso che la morte sia dovuta a traumi ma invece conseguenza di un’eccessiva perdita di peso volontaria». La Confederazione dei medici invita a non trarre conclusioni affrettate e giudica «ingiusto additare il capro espiatorio dei medici prima dei risultati dell’inchiesta». Nell’indagine tre poliziotti penitenziari sono indagati per omicidio preterintenzionale, sei medici per omicidio colposo.
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