giovedì 8 aprile 2010
Sotto accusa i medici del reparto protetto del Pertini: secondo la perizia, chiesta dalla procura di Roma, il giovane non è stato curato come doveva, e avrebbe potuto essere salvato. Il responsabile dell’esame Arbarello: «Non attribuiteci sentenze, il nostro lavoro è uno strumento d’indagine».
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«Omissioni e negligenze dei medici del Sandro Pertini». Ecco le cause della tragica morte di Stefano Cucchi, deceduto nel reparto di medicina protetta dell’ospedale romano perché non è stato curato come si doveva. La perizia richiesta dalla procura di Roma lo dice con chiarezza: le gravi condizioni di salute del giovane erano assolutamente incompatibili con quel reparto. La seconda autopsia dei medici dell’Istituto di medicina legale della Sapienza, guidati dal professor Paolo Arbarello, disegna un quadro clinico disastroso: «Stato cachettico (cioé di grave malnutrizione e peso bassissimo, ndr), disfunzione epato-pancreatica, grave ipoglicemia, squilibrio elettrolitico, rilevante bradicardia» da 42 pulsazioni al minuto. Smentiti invece due elementi trapelati l’altro giorno come presunte anticipazioni: nessuna disidratazione e le lesioni presenti – soprattutto la recente frattura al coccige – non possono essere attribuite automaticamente ad un pestaggio.Arbarello illustra il lavoro della sua equipe all’indomani della consegna della relazione alla procura e agli avvocati. «Le perizie medico legali non sono prove – premette – ma strumenti a disposizione della magistratura. Non è corretto attribuirci sentenze. Siamo qui per chiarire di persona i contenuti della relazione prima che qualcun altro li interpreti». E i risultati, precisa, «confermano in toto le risultanze della prima autopsia».La corposa relazione - 145 pagine, centinaia di fotografie, 15mila radiografie, risonanze e tac - parla chiaro: «Andavano impostate terapie diverse – dice Arbarello – mentre non è stata colta la gravità della condizione di Cucchi, per negligenza o per imprudenza. Ed è stato avviato in un reparto non per acuti, una struttura non idonea perché per pazienti stabilizzati, mentre lui era in evoluzione negativa. Con una diversa attenzione terapeutica Cucchi avrebbe potuto essere salvato».I medici che lo visitano al carcere di Regina Coeli e al Fatebenefratelli invece «danno indicazioni corrette, inviandolo al pronto soccorso. È al Pertini che ci sono omissioni e negligenze». La relazione conferma le conclusioni approvate il 17 marzo all’unanimità dalla Commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino. Sul resto invece i periti della Procura divergono.Cucchi infatti non è morto di sete: «Nessuna possibilità scientifica per affermarlo: il giorno prima della morte ha bevuto tre bicchieri d’acqua e nella vescica c’era urina». Poi ci sono le fratture alla colonna vertebrale: «Una lesione antica alla vertebra L3 e una recente alla S4, cioé al coccige, compatibile con una caduta podalica», cioé all’indietro. Quanto ai meccanismi della caduta, «non spetta a noi stabilirli». Di certo «queste lesioni erano indifferenti ai fini della morte, mentre in rapporto causale col decesso sono state le omissioni dei sanitari». Le altre lesioni? «Le tumefazioni sopraorbitarie e le escoriazioni su gambe e braccia c’erano, chi e come le ha procurate non è compito nostro. Non ci sono segni di lesioni dirette». Chi prende un pugno o un calcio ne porta il segno, spiega Arbarello. Se uno sbatte la testa alla porta e poi cade all’indietro, no: «Non si può sapere se l’ha fatto da solo o è stato spinto. Non è il nostro compito, è il magistrato che può raccogliere testimonianze».
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