giovedì 4 febbraio 2010
Il ragazzo, il giorno prima di morire, avrebbe scritto alla comunità d’accoglienza dove era già stato. Una missiva scomparsa e mai arrivata, che non appare più nell’elenco dei suoi effetti personali restituiti dal carcere alla famiglia, ma che è citata in un altro verbale redatto all’ospedale Pertini. Intanto si indaga anche sulle cartelle cliniche del giovane, che sarebbero state manomesse secondo gli inquirenti.
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Dov’è finita la lettera che Stefano Cucchi ha scritto la sera prima di morire? Che esista non c’è dubbio: lo dice una vicesovrintendente della polizia penitenziaria che ha fornito al ragazzo penna, carta e busta. Lo ha registrato il verbale degli effetti personali redatto all’ospedale Pertini. Ma quando la sorella Ilaria è andata a ritirare a Regina Coeli la scatola con le cose del fratello, della lettera nessuna traccia. Nulla nemmeno nel verbale redatto al momento dell’arrivo degli oggetti al carcere. Perché è sparita? Chi l’ha eliminata? Conteneva forse circostanze e nomi sui cinque giorni di calvario del geometra romano? Nessuno può dirlo. Di certo c’è che la lettera si è volatilizzata. E che Stefano voleva comunicare con un operatore del Ceis di don Picchi, dove era stato in cura in passato per i suoi problemi di droga. Ma alla comunità di recupero la lettera non è mai arrivata.Cento giorni dopo quel tragico giovedì 22 ottobre in cui Stefano Cucchi è morto – secondo i familiari e l’accusa per il pestaggio subito e per la negligenza dei medici – la sorella Ilaria rivela un particolare su cui la magistratura dovrà fare luce. Con la giovane donna, in una conferenza stampa convocata al Senato, c’è il legale della famiglia Fabio Anselmo e Luigi Manconi del Comitato per la verità su Stefano Cucchi. «Dopo la morte di Stefano – racconta la sorella Ilaria – tutti i suoi oggetti personali, il bracciale, l’orologio, furono riposti in una scatola trasportata al carcere di Regina Coeli. Quando qualche giorno fa è avvenuto il ritiro da parte di noi familiari ci siamo accorti di un’anomalia: riguardo ai verbali del contenuto, c’è una differenza. Nel primo è citata la lettera, nel secondo no». Ilaria racconta di avere avuto «notevoli difficoltà per ritirare la scatola e a noi risulta solo il verbale degli oggetti ritirati a Regina Coeli, mentre al verbale del Dap del Pertini, dove risulta la lettera, non abbiamo avuto l’accesso. Ma sappiamo da fonti autorevoli dell’esatto contenuto dello stesso verbale». Manconi conferma: «Abbiamo l’assoluta certezza che esiste un verbale che riporta tra gli effetti anche la lettera», dice. Sulla fonte della notizia Manconi preferisce mantenere il riserbo: «Ma sono pronto a dirlo al magistrato – assicura – se mi dovesse interrogare».Non c’è solo il verbale, comunque: «L’esistenza della lettera trova riscontro in una dichiarazione di una vicesopraintendente del reparto detentivo del del Pertini – spiega Ilaria – che consegnò a mio fratello una busta, un foglio e un francobollo per scrivere alla comunità terapeutica Ceis. Dove però non risulta essere arrivata la lettera». La lettera scomparsa di Stefano Cucchi per i familiari conferma l’assoluta inconsistenza della tesi sostenuta, all’indomani della morte, di un uomo che si è lasciato morire, rifiutando ogni contatto con l’esterno. «È l’ennesima conferma – dice Manconi – che Stefano nel reparto detentivo dell’ospedale tentava nei modi consentitegli all’interno di quelle condizioni di frustrazione, disagio fisico e coercizione, di comunicare con l’esterno. Sin dal momento del suo ingresso all’ospedale – aggiunge – Stefano ha chiesto di poter parlare con il suo avvocato di fiducia. Dichiarando che se non assumeva cibo era per protesta di fronte al fatto che gli veniva negata l’assistenza legale». Anche secondo l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, l’incongruenza tra i due verbali «costituisce un ulteriore tassello che va a sgretolare la teoria dell’autoisolamento secondo la quale si sosteneva che Stefano Cucchi volesse morire da solo. Oggi i verbali ci sono. Non è possibile alterare niente rispetto a questo».E la procura indaga sulle cartelle cliniche. Qualcuno ha manomesso le cartelle cliniche di Stefano Cucchi. È questa la nuova ipotesi accusatoria su cui sarebbe al lavoro la procura di Roma: falso ideologico e falso materiale. A rivelarlo è Luigi Manconi, del Comitato per la verità su Stefano Cucchi. «Da più fonti affidabili – dice – ho la conferma che la Procura sta lavorando all’ipotesi di contestazione di reati di falso materiale e falso ideologico, riguardo alle cartelle cliniche del reparto detentivo del Pertini». Per Manconi l’ipotesi è che «le cartelle cliniche non siano state rispettate nella loro corretta compilazione» e «presenterebbero tracce di interventi da considerare frutto di reati». La tesi della procura, sottoscritta dalla famiglia, indica nel pestaggio e nella negligenza dei medici le cause della morte. Tesi ieri contestata dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Franco Ionta, ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari: «Tecnicamente non può essere addebitata a chi eventualmente ha compiuto il pestaggio una morte determinata da un’altra causa. Questo – aggiunge il capo del Dap – dovrebbe far cadere l’accusa rivolta alla polizia penitenziaria di omicidio preterintenzionale». L’assenza di un nesso di casualità tra le botte e il decesso viene contestato in maniera netta dal legale della famiglia Cucchi. L’avvocato Fabio Anselmo respinge la "difesa d’ufficio" della polizia penitenziaria: «Dimostreremo che le fratture sul corpo di Stefano sono dovute al pestaggio delle guardie carcerarie nella cella del tribunale e non sono precedenti all’arresto. Ma il fatto che queste ultime ci siano o meno – dice – non cambia nulla: c’è un panorama autoptico con numerose emorragie interne». Il riferimento è al risultato della consulenza tecnica richiesta dalla procura, secondo cui la frattura alla vertebra lombare non avrebbe causato la morte e sarebbe stata precedente all’arresto. «Se riconosciamo che è stato ricoverato al Pertini perché picchiato violentemente – insiste il legale – ogni altra considerazione è superflua: le ferite sono diventate mortali per colpa medica». E dunque, ribadisce, «le accuse di omicidio preterintenzionale alle guardie carcerarie e colposo per i medici non cambierebbero». Al di là della frattura, c’era «la paralisi alla vescica», i «traumi contusivi alla schiena e tre emorragie». Anche in assenza della frattura, dunque, «sarebbe sbagliato pensare che non ci siano colpe per le guardie carcerarie».
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