mercoledì 22 aprile 2020
Per il leader leghista la circolare del ministero della Giustizia apre le celle ai detenuti al 41 bis malati e anziani. Ma il Tribunale di Milano smonta la polemica
Il carcere milanese di San Vittore

Il carcere milanese di San Vittore - ANSA

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«Non basta cantare Bella Ciao dal balcone se nel mentre ti escono i camorristi dal carcere». Matteo Salvini torna a criticare la «circolare del ministero della Giustizia datata 21 marzo, per la quale - a detta del leader dell'opposizione - i mafiosi con più di 70 anni, in regime di 41 bis, con qualche patologia sono liberi di uscire. Sono già a casa dei capi e rischiano di uscire di galera personcine per bene come Bagarella e Santapaola», sostiene Salvini. Il Guardasigilli Bonafede smentisce: nessuna circolare, le scarcerazioni sono di competenza dei magistrati di sorveglianza. E il Tribunale di Milano interviene per smontare definitivamente la polemica: si tratta di un caso, un mafioso di 78 anni malato di tumore e di cuore, condannato a 18 anni e 8 mesi che ha avuto un differimento degli 8 mesi residui di pena, solo in base alla normativa ordinaria valida per tutti. Nessuna circolare, nessun decreto Cura Italia, insomma.

All'attacco di Salvini replica il ministro della Giustizia: «Credo ci sia un limite a tutto. Sia chiaro - risponde Alfonso Bonafede - tutte le leggi approvate da questa maggioranza e riconducibili a questo governo sanciscono esplicitamente l'esclusione dei condannati per mafia (ma anche di qualsiasi reato grave) da tutti i cosidetti benefici penitenziari». E aggiunge: «In questo momento di emergenza, la diffusione di notizie false è particolarmente grave, soprattutto se cinicamente finalizzata a generare sfiducia nel governo da parte dei cittadini. Se poi parla di una materia così delicata come la lotta alla mafia, il cinismo diventa puro e inaccettabile sciacallaggio. Sostenere, infatti, che alcuni esponenti mafiosi sono stati scarcerati per il decreto legge "Cura Italia" non solo è falso, è pericoloso e irresponsabile». Si tratta «di decisioni assunte dai giudici nella loro piena autonomia che in alcun modo possono essere attribuiti all'esecutivo. L'unica cosa che può fare il Governo, e lo sta già facendo, è l'attivazione, nel rispetto dell'autonomia della magistratura, di tutte le verifiche e gli accertamenti del caso».

Ma è il Tribunale di Sorveglianza di Milano, presieduto da Giovanna Di Rosa, che disinnesca una polemica tutta politica. In un comunicato diramato proprio «a seguito delle notizie di stampa sulla scarcerazione di "boss mafiosì"», il Tribunale chiarisce che «il provvedimento emesso dall'Ufficio di Sorveglianza» è stato preso sulla base della «normativa ordinaria». Non è legato, dunque, alle recenti norme sull'emergenza Coronavirus. «Nel caso concreto - spiega il Tribunale - si tratta di un detenuto di anni 78, affetto da gravissime patologie cardiorespiratorie e oncologiche, condannato alla pena temporanea di anni 18 mesi e 8 di reclusione, che avrà termine naturale tra meno di 11 mesi, potenzialmente riducibili a 8 per la concessione delle liberazione anticipata». Il detenuto ai domiciliari è Franco Bonura, imprenditore mafioso palermitano. Il Tribunale milanese puntualizza che erano state «preventivamente acquisite informazioni di Polizia che garantiscono l'idoneità del domicilio, sottoposto ad assiduo controllo delle Forze di Polizia nel rispetto delle stringenti prescrizioni che impediscono qualsiasi uscita non autorizzata».

Anche il Dap smentisce di aver emanato qualsiasi richiesta riguardante i detenuti al 41 bis: quello che è stato fatto - afferma il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - è «solo un monitoraggio». Il Dap ricorda infine che «le stime della magistratura sullo stato di saluto di quei detenuti e la loro compatibilità con la detenzione avviene ovviamente in totale autonomia e indipendenza rispetto al lavoro dell'amministrazione penitenziaria».

Respingono l'attacco di Salvini i deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Giustizia che parlano di «bufala»: «Salvini ha superato se stesso. La verità - raccontata - è che nel Cura Italia non c'è nulla di tutto ciò che va raccontando la Lega. Al contrario: la norma esclude i domiciliari per i detenuti in carcere per reati di mafia. I condannati andati ai domiciliari in questi giorni di emergenza sanitaria lo hanno fatto in base alle decisioni dei giudici di sorveglianza sulla base di valutazioni che nulla hanno a che fare con il decreto Cura Italia»..

Sul caso interviene l'associazione Nessuno tocchi Caino-Spes contra spem, difendendo le decisioni del Tribunale di Milano. «Decisioni ineccepibili dal punto di vista Costituzionale e normativo - sottolineano il segretario Sergio d'Elia, la presidente Rita Bernardini, il tesoriere Elisabetta Zamparutti - perché la Costituzione stabilisce il diritto alla vita e alla salute come diritti, prevalenti su ogni altra considerazione, ragione di sicurezza o di ordine pubblico. Non ha alcun senso invocare la lotta alla mafia ed il dolore delle vittime quando in gioco ci sono i principi inderogabili della nostra Carta Costituzionale, della nostra civiltà e della nostra umanità». Principi - ricordano - sanciti anche da Patti e Convenzioni internazionali. «D'altro canto il differimento pena per motivi di salute è previsto anche dal codice penale». Nel caso in questione, dichiara Nessuno tocchi Caino, «stiamo parlando di persone gravemente malate, a rischio della propria vita nel perdurare dello stato di detenzione. Si può dire che non c'entra nemmeno la pandemia, talmente grave è stata ritenuta la loro condizione. Come diceva Leonardo Sciascia, la mafia non la si combatte con la terribilità della pena ma con lo Stato di diritto».

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