domenica 8 novembre 2015
​La presidente Mariella Enoc: continueremo a esportare solidarietà. "Il bene da fare è molto più del male da dimenticare".
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«Quando leggo pagine distruttive sull’ospedale, come è avvenuto in questi giorni in cui ho sofferto molto, ho un 'rimedio': raggiungo un reparto e passo del tempo con i bambini. E poi con i loro genitori. Ecco, se si vuole davvero toccare con mano una straordinaria realtà nata dalla carità come la nostra, bisogna fare questo». Non lascerebbe mai spazio al sentimentalismo fine a se stesso Mariella Enoc, numero uno del più importante ospedale pediatrico d’Europa, il Bambino Gesù di Roma. Le notizie su fondi che sarebbero stati distratti dal nosocomio della Santa Sede,  o su privilegi di cui godrebbe a scapito di altre strutture, dopo un primo periodo di sconcerto, «non fanno più presa». Perché presidente? Queste notizie pesano sulla nostra struttura. E, non lo nego, potrebbero anche essere riferite a fatti e personaggi che hanno danneggiato l’ospedale. Io non lo so e voglio che non resti nessuna ombra. Ma lascio fare ad altri le verifiche sul passato. Io lavoro per il futuro. Una cosa è certa: questo ospedale ha il diritto di essere trattato bene, deve essere trattato bene! Perché ha una missione speciale. La gente deve credere nel Bambino Gesù perché il cambiamento c’è stato». Ma allora cosa resterà dei titoli sui presunti illeciti sbandierati con grande visibilità sulla stampa di questi giorni? Per quanto mi riguarda, ho vissuto la bufera con dolore ma è già passata via come acqua fresca. Sono qui da pochi mesi. Ho pensato di dare serenità a tutti i collaboratori. Ai quali ho chiesto uno scatto d’orgoglio perché è molto più il bene da fare che il male da dimenticare. E loro hanno mostrato grandissima coesione. Sono con loro. Io sono la prima a crederci. Bastano alcuni mesi per comprendere uno degli ospedali più complessi e innovativi del mondo? Per me venire qui è consistito in un cambiamento di vita molto importante. All’inizio ho fatto un po’ di fatica. Oggi amo l’ospedale, lo difenderei con la forza di una leonessa nei confronti dei suoi piccoli. Non credevo potesse prendermi in questo modo. Solo chi lo conosce dall’interno può capire il valore delle cure, delle relazioni, del sostegno tra queste mura. Da pochi giorni la Fondazione Bambino Gesù, che supporta l’impegno dell’ospedale, ha un nuovo consiglio direttivo, un nuovo statuto, una nuova mission. Da dove si riparte? Quando sono arrivata qui, a fine febbraio, ho pensato a un’attività parallela, accanto all’ospedale, che promuovesse prima di tutto un’azione di conoscenza e poi di 'fund raising', di reperimento di finanziamenti per aiutare l’ospedale, per accrescere la nostra ricerca scientifica soprattutto sul fronte delle malattie genetiche rare, per le missioni internazionali e per l’accoglienza dei bambini che arrivano dall’estero. C’era già una fondazione ma ho voluto ricominciare da capo. Il nuovo consiglio direttivo è formato da persone di alto profilo che condividono con me il desiderio di aiutare quest’opera a crescere. Il Papa vi chiede di 'esportare' la solidarietà. Come si fa? Esportare la solidarietà è il nostro modello e uno degli scopi della Fondazione. Continueremo a guardare alle missioni all’estero con l’occhio di chi vuole prestare attenzione ai territori. Vogliamo portare, nei Paesi in cui è maggiore il bisogno, cultura, conoscenza e innovazione. Quanto l’ospedale fa, ad altissimi livelli, deve essere trasferito e condiviso. Vogliamo formare medici e infermieri, oltre che curare. È un’attività che continuerà ad essere sviluppata anche a Roma, dove riceviamo bambini non trattabili chirurgicamente nei Paesi di origine e professionisti che necessitano di approfondire studi ed esperienze da noi. E poi ci sono le necessità che richiedono interventi urgenza. Quali? Stiamo ampliando, per esempio, la nostra collaborazione con la Giordania, cercando di renderci utili nei campi che ospitano i bambini siriani. Ma anche Paesi ancora più lontani come Cambogia e Vietnam ci vedono coinvolti in progetti molto solidi. Spesso dopo anni di collaborazione, nascono dei veri e propri gemellaggi. Ma non solo l’estero ha bisogno di attenzioni. Ci sono missioni del Bambino Gesù anche in Italia? Stiamo partendo in questi giorni con mezzi mobili verso le periferie più difficili di Roma dove, tra le altre azioni, ci prendiamo cura dei rom anche sul piano educativo. E la ricerca? Il lavoro dei nostri ricercatori è riconosciuto come tra i più significativi al mondo. C’è una particolare concentrazione di studi sulle cellule finalizzato anche a diminuire l’utilizzo della chemioterapia cercando percorsi terapeutici nuovi. È un grande traguardo che il Bambino Gesù vuole tagliare presto. Che ospedale vorrebbe lasciare a chi le succederà? Ho dei grandi sogni, forse in parte figli di un pizzico di incoscienza. Vorrei un ospedale un po’ diverso, più vivibile, con maggiori spazi, soprattutto se penso al polo del Gianicolo. Che sia a misura di bambino e dei genitori. Dove cioè qualcuno si prenda cura del piccolo paziente; qualcuno si occupi della sua famiglia anche attraverso lo sviluppo di nuovi centri per l’accoglienza; e, nei laboratori, altri ancora cerchino soluzioni terapeutiche innovative per lui. Metteremo tutte le risorse possibili in campo, comprese le mie personali, per migliorare ricerca e cura perché aumenta la povertà di salute e crescono i bisogni. È soddisfatta di quanto fatto? So che abbiamo ancora molto lavoro davanti. Vogliamo cancellare il buio di questi giorni per tornare a testimoniare a tutti, innanzitutto al Santo Padre, la grande opera di carità che questo ospedale rappresenta ogni giorno. 
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