domenica 3 ottobre 2010
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La pace in primo luogo. Non soltanto quella tra Paesi oggi in guerra, ma la pace intesa come condivisione di un destino comune per risolvere ogni forma di  sofferenza e discriminazione sociale. Anche da noi. Su questo, la Comunità di Sant’Egidio chiederà l’attenzione della Chiesa alla Settimana sociale di Reggio Calabria. Ne parliamo con il fondatore della Comunità trasteverina, il professore Andrea Riccardi.Professore, la sua Comunità cosa si aspetta da questo dibattito?Spero che sia utile. Radunare la gente è sempre utile. Non è che le Settimane sociali ultimamente abbiano avuto un impatto fortissimo. Però, credo che adesso la situazione sociale e politica del nostro Paese richieda una riflessione seria da parte dei cristiani perché ci troviamo con una crisi del sistema politico e con una crisi sociale. Io ho paura. Penso a certe situazioni del Mezzogiorno, alla Calabria, a Napoli. Ho paura anche di situazioni a rischio, di esplosioni di tensioni gravi, perché direi che il sistema non funziona. La crisi economica ricade sulle famiglia, la classe politica è degradata.Allora che fare? La Chiesa, soprattutto, cosa può fare?C’è una responsabilità della Chiesa che ha tenuto alto, come ha fatto il cardinale Bagnasco nell’ultima prolusione, il senso dell’unità nazionale e dell’interesse nazionale. Mi chiedo se i laici cattolici non debbano assumersi maggiormente la responsabilità di dire, di parlare e di indicare una strada. Ci troviamo in un momento molto difficile; sembra che si sia esaurito qualcosa. Certamente non esiste più in tanti la voglia di servire facendo politica e governare il Paese.Certo che dalla politica giunge poco di esaltante. Rinnovarla? Ma come?Sicuramente una nuova politica, che è in crisi nel nostro Paese e non solo da noi. È in crisi in tutta l’Europa. Forse sono in crisi le politiche nazionali, e traballa l’idea dello Stato nazionale. In tutta l’Europa e in Italia, generalmente, la politica a livello locale è più sentita. Anche in Italia la dimensione comunale ha una sua forza. Mi interrogo su cosa possa dire in generale rinnovamento della politica, perché i problemi sorgono qui e sono molti.Quali?Sicuramente quello della coesione sociale in un Paese a rischio, perché l’Italia è un Paese in cui la gente soffre. Inutile dire che il problema sono gli zingari o cercare altri capi espiatori. Il vero problema è come arrivare alla fine del mese. L’Italia deve investire sui giovani, sulla ricerca, sulla scuola ed è un Paese che deve ritrovare la sua anima.Lei diceva però che la crisi interessa tutta l’Europa...Esatto. Ma dovremmo precisare che significa Europa. Spesso diciamo che non ci piace, perché ci porta modelli di vita lontani dai nostri. È vero, ma diciamolo in Europa questo. Facciamo sentire la nostra voce in Europa. I Paesi europei, fra trent’anni, non saranno niente in confronto con l’Asia. Saranno niente se non si presentano in un contenitore europeo. La nostra civiltà sarà spazzata via.La Settimana sociale è state preceduta da incontro con le comunità ecclesiali. Sant’Egidio come ha contribuito?Sentiamo che bisogna ridare anima a questo Paese. Alla fine, negli ultimi dieci anni, ha trionfato un neo materialismo, un vivere per se stessi, una caduta della cultura del bene comune. Questo secondo me è il grande problema. Bisogna ridare, in occasione dei 150 anni dell’Unità italiana, un nuovo senso alla comunità nazionale. Occorre ridare la percezione di un destino comune. La politica si regge su questo: sul senso di rappresentare, interpretare e discutere su un destino comune. Questi 150 anni ci faranno riflettere o sarà solo una festa con sfolgorio di bandiere?Ma mica tanta festa! A me sembrano all’insegna della tristezza. Ricordo il 1961, quando mio padre mi portò a Torino per i 100 anni dell’Unità. Il Paese sembrava una monorotaia che correva verso il futuro. Oggi non sappiamo da dove veniamo, ma nemmeno chi siamo. Questo è il punto: ricreare un senso di destino comune.E la Chiesa può aiutare a ritrovarlo?I cattolici hanno molto da dire su questo. Ecco perché dico: discutiamo di più tra di noi.
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