sabato 28 agosto 2021
Intervista a Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. «Sanità regionale caratterizzata da obiettivi non di salute, ma di bilancio»
Vaccinazioni anti covid agli adolescenti all'Hangar Bicocca, MIlano

Vaccinazioni anti covid agli adolescenti all'Hangar Bicocca, MIlano - Fotogramma

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«Vaccinare tutti contro il Covid-19 resta prioritario per uscire dall’emergenza. Spetta alla società e al Parlamento decidere se è il caso di imporre un obbligo. Ma per il personale sanitario non c’è dubbio: è un requisito per esercitare la professione. «Prima di fare la terza dose da noi, sarebbe meglio mettere al sicuro i Paesi dove i vaccini stentano ad arrivare». Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), sottolinea anche un tasto dolente dell’attuale situazione sanitaria: «La questione medica: bisogna dare risposta al malessere dei professionisti, che hanno combattuto in prima linea il Covid, ma hanno scarso peso nella gestione della sanità e sono poco gratificati. Il risultato è che i medici sono sempre meno: vanno in pensione o passano al privato, e i giovani tendono a emigrare».


«Se riduciamo i ricoverati per Covid, liberiamo risorse per assistere chi ha altre patologie. La terza dose non è necessaria per tutti: più importante è garantire l’immunizzazione a tutto il mondo»

La vaccinazione anti Covid procede verso l’obiettivo dell’80% di immunizzati: servirà imporre un obbligo?
Oggi chi viene ricoverato in ospedale o nelle terapie intensive, e chi muore, in più del 90% dei casi è una persona non vaccinata. Anche il vaccinato può avere una riduzione dell’immunità: in base alla reattività individuale, in un 10-15% dei casi il vaccino può non rispondere. La via per uscire dalla pandemia, secondo noi medici, è vaccinare tutti. Chi è vaccinato può prendere il Covid, però le conseguenze non sono quelle drammatiche dei non vaccinati. Imporre l’obbligo è una scelta forte: il Parlamento e la società civile devono decidere se è prioritaria rispetto al diritto del cittadino – previsto dalla Costituzione – di non subire interventi sanitari se non stabiliti per legge. Ma c’è un’altra conseguenza.

Quale?
Chi viene ricoverato “dirotta” risorse umane ed economiche: se un anestesista è impegnato in terapia intensiva, non può seguire gli interventi chirurgici. Si allungano le liste d’attesa anche per patologie gravi e arriveremo sempre più tardi a evitare conseguenze di patologie ordinarie. Ecco perché auspichiamo che tutta la popolazione venga vaccinata: si potrebbero riattivare tutti i servizi sanitari e consentire – a chi non ha potuto – di tornare a curarsi. Si potrebbe rispondere alla “pandemia silenziosa” di molte patologie, anche perché alcuni provvedimenti (di blocco degli interventi o degli accessi all’ospedale) sono stati assunti su base emotiva più che razionale: ci sono uffici delle Asl ancora chiusi… Se la popolazione fosse tutta vaccinata, si tornerebbe verso la normalità, e lo stato di emergenza non avrebbe più senso.

Il personale sanitario va spostato ad altre mansioni se non si vaccina?
Va detto in modo chiaro: il comma 1 dell’art. 4 del Dl 44, poi trasformato in legge, dice che la vaccinazione anti Covid è requisito essenziale per l’esercizio di tutte le professioni sanitarie. Chi esercita senza vaccinazione sta facendo esercizio abusivo della professione. Dall’aprile scorso la legge ha introdotto questo requisito, che si somma all’avere la laurea con l’abilitazione. Chi non ha i due requisiti non può esercitare una professione sanitaria. E ne va data comunicazione alla procura della Repubblica, perché c’è un reato.

Serve la terza dose di vaccino?
Oggi non ci sono evidenze sicure che ci dicono che negli immunocompetenti serva una terza dose. Sappiamo che serve per chi ha una scarsa reattività immunologica o perché fa terapie (chemio) o per motivi legati all’età. Con la terza dose a tutti, coloro che non rispondono al vaccino passerebbero dal 10-15% al 5-7%. Però si pone un problema etico: è giusto che lo facciamo in Italia, usando altre 60 milioni di dosi, mentre altri Paesi non hanno nemmeno una dose? Per uscire dalla pandemia ci vuole uno sforzo mondiale: tutti devono collaborare con l’Organizzazione mondiale della sanità per vaccinare tutti gli Stati. Proteggere gli altri non è beneficenza: significa proteggere anche noi stessi, perché dopo la variante inglese, sudafricana, brasiliana, indiana, ne avremo altre. Per fortuna sono ancora largamente coperte dal vaccino, ma va ricordato che per eliminare il vaiolo ci sono voluti decenni.

Sono arrivati i primi fondi del Pnrr. Come vanno impiegati?
I fondi del Pnrr servono per interventi di carattere strutturale, tecnologico o infrastrutturale. Saranno gestiti prevalentemente dalle Asl per cambiare macchine obsolete, oppure avviare i lavori per l’adeguamento degli ospedali alle norme antisismiche. Sul territorio si dovranno ristrutturare i vecchi ospedali (chiusi con il Dm 70/2015) o costruire le case di comunità. Ma non si affrontano i problemi legati alle grandi sofferenze della professione medica, per i quali ci siamo appellati a governo e Parlamento.


«Chiediamo un ruolo maggiore per i medici nella governance sanitaria, riducendo il peso della politica. Esodi verso il privato, pensioni e giovani che espatriano sono il segno del malessere dei camici bianchi»

A che cosa si riferisce?
Il Consiglio nazionale della Fnomceo ha approvato una mozione per chiedere di avere un piano per i professionisti. L’abbiamo definita “questione medica”, perché i medici attualmente vivono un profondissimo disagio, che si manifesta in tre tendenze, che stanno riducendo i medici nel nostro Paese, con gravi ripercussioni sull’assistenza. Innanzi tutto chi può va in pensione, e spesso non viene sostituito. Oppure, soprattutto coloro che hanno grande esperienza, vanno a lavorare nel privato. Infine i giovani preferiscono andare all’estero, se non realizzano pienamente le loro aspirazioni. Succede che, nonostante l’aumento delle borse per la specializzazione post laurea, non ci sono medici che vogliano fare il medico dell’emergenza-urgenza, o il medico di medicina generale. Sono segnali del grande malessere della professione medica, a cui il governo deve dare una risposta, anche perché nell’emergenza Covid i professionisti non si sono tirati indietro.

Quali sono le cause del malessere, e i possibili rimedi?
La sanità regionale è caratterizzata da obiettivi non di salute, ma di bilancio, ma chi ha sconfitto il Covid sono stati i professionisti sanitari e non l’organizzazione carente, condizionata dai tagli degli anni scorsi. Se i professionisti sono risultati essenziali per affrontare la più grave emergenza sanitaria mondiale dell’ultimo secolo, credo che a loro vada riconosciuta una dignità professionale maggiore dell’attuale: la tendenza è di utilizzarli più come prestatori d’opera che come liberi professionisti. Va recuperata una dignità sia sul piano economico (per evitare l’esodo di grandi professionalità) sia sul piano organizzativo, perché i medici non incidono sulle scelte del governo della sanità, che rispondono più a esigenze di carattere politico che a quelle della popolazione. L’invito al governo è di pensare a una riforma del sistema, che rimetta in campo le priorità di salute della popolazione.

Cosa chiede la Fnomceo?
C’è troppa interferenza della politica nella sanità e poca gratificazione sociale – ed economica – per il medico. Se vogliamo mantenere un livello di eccellenza al Servizio sanitario nazionale, occorre tenere i cervelli migliori. Non paga sul piano sanitario rispondere a esigenze di carattere “politico” per cui un punto nascita si apre per evitare che una popolazione voti in maniera diversa, o si mette un primario non per le sue competenze, ma perché è “amico degli amici”. Oppure trasferire le competenze mediche ad altre figure professionali, con il risultato che – durante l’emergenza Covid – sono stati comprati i respiratori, ma non c’erano sufficienti anestesisti a farli funzionare. Si era fatto credere che in Pronto soccorso bastassero un infermiere o un operatore sanitario. I medici oggi non hanno possibilità di incidere sulla “governance” sanitaria, se non per “conoscenze” nella politica. E questo scoraggia soprattutto i giovani medici, che devono poter ambire a essere valorizzati sotto il profilo professionale in ragione delle loro capacità. Altrimenti prendono un aereo e in due ore sono in Europa, dove trovano condizioni più rispondenti alle loro aspirazioni. Infine chiediamo una riforma di sistema, che non assegni ogni decisione al presidente di Regione attraverso i direttori generali, ma valorizzi una maggiore partecipazione dei cittadini nel definire i bisogni di salute. E che comprenda anche i professionisti della sanità.

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