venerdì 10 marzo 2023
Dalle carte dell’inchiesta di Bergamo emerge uno studio inedito: ricoveri sospetti già a fine gennaio 2020, quasi un mese prima di Codogno Il pasticcio della circolare ministeriale modificata
Interviene l'esercito per spostare le salme dal cimitero maggiore di Bergamo

Interviene l'esercito per spostare le salme dal cimitero maggiore di Bergamo - Fotogramma

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Quando ancora il Covid non era un’emergenza conclamata, almeno già 900 persone facevano i conti con il virus. Febbre alta e persistente, problemi respiratori, e polmoniti nei casi più gravi, scorrevano carsicamente soprattutto tra Lodigiano e Bergamasca. Ex post, in molti – cittadini, ma anche medici di base – lo racconteranno, come documentò Avvenire già tre anni fa.

Nessuno di loro però venne sottoposto al tampone almeno fino al 20 febbraio 2020, quando all’ospedale di Codogno l’anestesista Annalisa Malara forzò le procedure per individuare il “paziente uno”. Ma non avrebbe potuto farlo: una circolare del ministero della Salute del 27 gennaio definiva come «caso sospetto» solo chi presentava sintomi respiratori gravi avendo avuto dei contatti con la Cina e Wuhan in particolare.

La catena degli errori e delle sottovalutazioni affonda le proprie radici anche in questo passaggio, perché solo cinque giorni prima il ministero della Salute aveva emanato una circolare più “estensiva” che considerava come «caso sospetto» anche chi, pur senza link con la Cina, presentava «un’infezione respiratoria acuta grave» con «decorso clinico insolito o inaspettato».

Viene però rivista in fretta, quella prima circolare: inviata alle Regioni, come emerge dalle carte dell’inchiesta dei pm di Bergamo, il ministero riceve dei pareri critici. Anche da Danilo Cereda, epidemiologo della Direzione generale Welfare lombarda: «È sbagliata la definizione di caso», scrive a una collega, «di fatto in questa definizione vi stanno quasi tutti i pazienti » e «quindi abbiamo segnalato al ministero». Intanto, il virus si moltiplica. Infatti il 1° giugno 2020 Gabriele Del Castillo, all’epoca collaboratore dell’Unità Prevenzione della Dg Welfare lombarda, invierà a Cereda uno studio sulle «evidenze a supporto della circolazione del Covid prima del 20/02»: scavando nel dataset dei positivi lombardi, emergono i profili di 900 persone con «data inizio sintomi» antecedente al 20 febbraio (209 nel mese di gennaio e 691 nel mese di febbraio).

Così, già prima del 20 febbraio gli ospedali cominciano a ricoverare pazienti con delle strane polmoniti. Il vuoto normativo diverrà lampante nei giorni immediatamente seguenti alle prime diagnosi ufficiali. Dall’epicentro della prima ondata, il 28 febbraio 2020 Roberto Cosentina, allora direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est (l’unico indagato tra le persone citate), invia all’Ats di Bergamo una nota ufficiale: «Nel periodo compreso fra il 13 febbraio e il 22 febbraio sono giunti presso l’ospedale di Alzano alcuni pazienti con diagnosi di accettazione polmonite/insufficienza respiratoria acuta.

Non venivano testati per il coronavirus in quanto venivano applicati i criteri della Circolare del ministero della Salute del 27 gennaio 2020». Solo dopo i fatti di Lodi « veniva acquisita la consapevolezza che tale criterio epidemiologico non era da ritenersi attendibile, sebbene ancora non modificato». Se dal punto di vista clinico si scontava un difetto di normativa, da un punto di vista di analisi dei dati si pagava invece l’ottica “economicocentrica” dei flussi informativi.

Sempre dallo studio retrospettivo di Del Castillo, basato su «un’analisi sulle Schede di Dimissione Ospedaliera (Sdo)» a cura «della rete di osservatori epidemiologici delle Ats», si ricava un picco di polmoniti virali già a fine gennaio 2020, con una situazione definita «fuori controllo» dal 5 febbraio, 15 giorni prima di Codogno. Sul punto i pareri sono contrastanti: sentito come persona informata sui fatti, l’epidemiologo di Ats Bergamo Alberto Zucchi indica invece che uno studio da lui prodotto non rileva «nessuno scostamento significativo».

Ma il punto è un altro, e scava sulla capacità di attivare “alert” epidemiologici precoci ai primi segnali sospetti. Come spiega Zucchi ai pm, «i dati di routine su cui Ats lavora non sono mai in tempo reale, in quanto gli ospedali inviavano le Sdo una volta al mese a Regione Lombardia», con successive integrazioni, «affinché questa provvedesse alla remunerazione delle attività». La Regione avvierà un flusso giornaliero solo da maggio 2020, quando la prima ondata era già in fase di risacca.

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