lunedì 16 novembre 2020
A Catania il gesto simbolico. «Solo l’età è stata un limite, ma voglio dare una possibilità in più per sperare»
Monsignor Peri è guarito e ora ha dato la sua disponibilità a garantire il suo plasma iperimmune ai pazienti

Monsignor Peri è guarito e ora ha dato la sua disponibilità a garantire il suo plasma iperimmune ai pazienti

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In questi giorni si moltiplicano gli appelli, particolarmente tramite i social, per la donazione di plasma iperimmune da parte di chi ha avuto il coronavirus, per aiutare gli attuali e futuri malati con un trattamento che si sta rivelando utile.

Tale necessità l’aveva già colta monsignor Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, grazie anche all’invito dell’associazione "Fratres" di Ramacca, nel territorio diocesano, che con i suoi volontari opera per la raccolta delle sacche insieme all’Unità di medicina trasfusionale dell’ospedale Garibaldi di Catania.
Monsignor Peri era stato ricoverato al "Gravina e San Pietro" di Caltagirone il 2 aprile, dopo aver accusato sintomi influenzali ed essere stato sottoposto a tampone, risultato poi positivo. Uscitone guarito il 3 maggio, con enorme gratitudine nei confronti del personale ospedaliero, ritornando alla normalità e al ministero pastorale dopo la convalescenza il presule non ha smesso di invitare alla prudenza «per non incontrare questo minuscolo killer, invisibile e sempre in agguato» ed ha continuato ad esortare con chiare parole: «Non metteteci le mani, non toccatelo e non fatevi toccare per credere».

Vinta la sua battaglia contro il virus, monsignor Peri nei giorni scorsi è tornato in ospedale, ma stavolta per dare la disponibilità a donare il plasma iperimmune per i malati Covid. Un gesto simbolico, poiché la donazione è possibile solo entro i 65 anni (a meno che non si sia donatori abituali) mentre il presule ne ha 67 e ha donato frequentemente solo in passato. «Però ho fatto tutto l’iter necessario, con analisi e controlli, e – oltre ad avere le condizioni fisiche richieste – nel campione prelevato sono stati trovati gli anticorpi necessari. Solo l’età è stata un limite al desiderio di offrire anche il sangue, oltre alla mia costante preghiera e al mio impegno in questo tempo difficile di sofferenza».


L’esempio comunque può servire: «Affermo con forza l’importanza, per chi può, di mettere a disposizione il plasma per le sorelle e i fratelli malati; non c’è da vergognarsi né tanto meno da temere, anzi c’è tanto da guadagnare dalla gioia di aver offerto, come Cristo Gesù sulla croce, una componente del proprio sangue, cioè una possibilità in più per vivere e sperare».

Il gesto del vescovo (pur rimasto simbolico) avvalora dunque, con la forza di chi è passato attraverso la malattia ed è guarito, il messaggio trasmesso alla Chiesa e alla società: «I sintomi non subito chiari ma che lasciavano presentire il nemico, il ricovero, la paura dell’isolamento e la straordinaria esperienza umana e spirituale nella stanza bianca dell’ospedale proprio nel tempo della Pasqua, con lo sguardo fisso a un piccolo crocifisso appeso al muro, mi hanno segnato e allo stesso tempo arricchito dell’opportunità di tornare all’essenziale».

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