mercoledì 2 novembre 2016
Parla il grande studioso della spiritualità medievale: «Il riconoscimento del lavoro manuale, elemento caratteristico della tradizione monastica occidentale».
Vauchez: «Costruire e ricostruire, la lezione di Benedetto»
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André Vauchez conosce bene i santi, e anche i santuari. Tra i maggiori studiosi del Medioevo a livello internazionale, accademico dei Lincei e vincitore del premio Balzan, l’autore di biografie fondamentali come quella di Caterina da Siena (Laterza) e Francesco d’Assisi (Einaudi) è stato per molti anni direttore della Scuola francese di Roma e ha viaggiato a lungo attraverso la Penisola nella sua veste di coordinatore di un’opera in più volumi, Santuari d’Italia, edita da De Luca. I luoghi colpiti dal terremoto – anzi, dai terremoti degli ultimi decenni – sono per lui pieni di ricordi personali. «Ho sempre in mente quello che mi diceva don Mario Sensi, il medievista di Foligno morto lo scorso anno: la distruzione, in queste terre, è ancora più vasta di quanto appaia a vista d’occhio», afferma.

In che senso, professore?
Vede, nella zona compresa tra Umbria, Marche, Lazio e Toscana il tessuto dell’architettura religiosa è straordinariamente fitto. Non ci sono solo gli edifici imponenti, che tutti conoscono e di cui tutti giustamente rimpiangono la perdita. A questi monumenti si intreccia la rete delle chiesette rurali, delle cappelle ed edicole votive magari prive di valore artistico, ma preziosissime per comprendere la storia di questo popolo. Della ricostruzione di un simile patrimonio, purtroppo, nessuno si preoccupa ed è per questo, come ripeteva don Sensi, che ogni terremoto finisce per cancellarne una parte.

Quale impressione conserva di Norcia?
Oltre alla Basilica, in città ci sono moltissime altre chiese, spesso legate alla tradizione benedettina. Santa Scolastica, per esempio, che è intitolata alla sorella di Benedetto, iniziatrice del ramo monastico femminile. Non dimentichiamo che le fondamenta della Basilica incorporano i resti di quella che è considerata la casa della gens Anicia, ovvero la famiglia del santo. Più ancora che nelle opere d’arte, l’importanza di Norcia sta nel fatto che da qui, storicamente, è partita l’avventura benedettina, destinata a germogliare più a sud, tra Subiaco e a Montecassino, e poi a diffondersi in tutta Europa.

Lungo quali direttrici?
Una su tutte: l’intesa fortissima fra la tradizione benedettina e il Papato. Com’è noto, fu un Papa, Gregorio Magno, a inserire nei suoi Dialoghi la prima biografia di Benedetto e fu quel testo a imporne la figura come modello della tradizione monastica occidentale. Senza i Dialoghi, probabilmente, la vicenda di Benedetto sarebbe stata destinata a rimanere nell’oscurità. L’elogio di Gregorio, che coglieva con esattezza la differenza tra l’operosità benedettina e la spiritualità essenzialmente contemplativa degli anacoreti orientali, fu determinante per la promozione della nuova formula, che presto attecchì in tutto il continente.

Da dove veniva questo apprezzamento?
La Regola di Benedetto si contraddistingue per equilibrio e senso della misura. Come ogni altra regola monastica invita alla fuga mundi, senza però esaurirne il significato nella penitenza. Il lavoro manuale, come sappiamo, costituisce una componente irrinunciabile della vita benedettina. Si tratta di un’intuizione formidabile, che imprime un segno indelebile nella civiltà medievale, con un influsso riconoscibile ancora oggi.

A che cosa si riferisce?
I benedettini furono protagonisti di un’autentica rivoluzione nell’ambito dell’agricoltura. Con le loro attività di bonifica, sia delle paludi sia delle aree montane, contribuirono alla trasformazione del paesaggio, creando un’armonia perfetta fra presenza umana e ambiente naturale. Quello con la montagna, in particolare, è un rapporto che non è mai venuto meno e che contraddistingue anche i movimenti riformati dell’Ordine. Altre comunità religiose, come i francescani e più ancora i domenicani, si troveranno a svolgere la loro missione nelle città. Fino al XIX secolo, invece, i monaci di san Benedetto conserveranno questo legame con le zone di montagna. Con l’Italia centrale, nello specifico.

Il sisma, dunque, colpisce davvero il cuore della storia benedettina.
Che è storia d’Europa, esatto. Questo sarebbe un buon motivo per coinvolgere l’Unione nella ricostruzione, tra l’altro. Ma credo che dalla Regola si possa cogliere anche un’altra lezione. Quale? Quella del valore attribuito al lavoro manuale, ancora una volta. Meglio ancora, parlerei del riconoscimento del fatto che il lavoro manuale rappresenta, in sé, un valore irrinunciabile per ogni esperienza umana. Anche in momento drammatico come l’attuale, da Benedetto può venire l’impulso a fare subito, e bene, quello che deve essere fatto. Costruire, ricostruire, non lasciarsi prendere dallo sconforto nell’ora della prova. Restaurare quello che può essere restaurato, direi. E laddove la ricostruzione fosse impossibile, inventare qualcosa di nuovo, con coraggio.

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