venerdì 20 agosto 2010
L'ultimo omaggio della sua terra: cerimonia semplice e tanto popolo ai funerali di Francesco Cossiga. Nella chiesa di San Giuseppe, autorità militari e politiche e una folla di gente comune. 
- Un esigente senso delle istituzioni,  di Marco Tarquinio
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Gli piaceva quel ragazzo che aveva sbaragliato la sinistra giovanile all’Università ma non poteva permettersi di fare campagna elettorale solo per lui, scontentando i nove decimi del partito sassarese: «Così mi prese sottobraccio e partimmo per una lunga passeggiata per la città. Alla fine mi disse: "Tore, una passeggiata insieme vale mille telefonate". Quell’anno fui il consigliere comunale più votato». I ricordi, tanti, degli amici come il consigliere regionale Salvatore Amadu si sono mescolati alle lacrime, tante, davanti al feretro giunto dall’aeroporto di Fertilia avvolto nella bandiera dei quattro mori e nel tricolore. La Sardegna e l’Italia; il picchetto d’onore della Brigata Sassari e quello dei Nocs, dei Gis, degli incursori della Marina e della Folgore; sindaci della Gallura e amici venuti «dal continente», come i Martelli che «ce lo diceva sempre di venire a trovarlo, così ce la mostrava lui la Sardegna vera», sospira la signora. Nella chiesa di San Giuseppe, ieri mattina,  Francesco Cossiga ha salutato per l’ultima volta i suoi concittadini da sardo tra i sardi. Una funzione semplice «perché lui l’ha voluta così» come ha spiegato dal pulpito il figlio Giuseppe, sottosegretario di Stato, fermo nell’esigere il rispetto delle ultime volontà del genitore. Nessun funerale di Stato, solo parenti (oltre a Giuseppe, la figlia Anna Maria e il nipote Piero Testoni) e amici, soprattutto sardi e sassaresi. Come gli ex ministri Arturo Parisi e Beppe Pisanu, Antonello Soro e Mariotto Segni, il governatore sardo Ugo Cappellacci e il sindaco di Cagliari Emilio Floris. Da Roma Enzo Carra e Renato Farina. In prima fila il consigliere di Stato Alfredo Masala, «eterno» capo di gabinetto, e Francesco Meloni, uomo di fiducia di Cossiga e depositario dei piccoli segreti sassaresi, quelli che passavano dall’ufficio di via Cavour: «Il presidente - spiegava ieri Meloni - aiutava tutti, iscritti alla Dc e non. Così, in un anno sono entrati alle Poste sessanta sassaresi». Ben diverso, sostengono i suoi collaboratori più stretti, l’atteggiamento verso gli affari: «un giorno - raccontano - si presentò un tizio con una valigia piena di soldi che voleva un certo favore industriale e finì giù dalle scale». Un politico popolare, come dimostra la folla che l’ha atteso ieri davanti alla chiesa e ha tributato un lunghissimo applauso alla bara diretta al cimitero cittadino, dove l’ex presidente è stato sepolto a fianco dei genitori e della sorella, a pochi passi dall’ex presidente Segni. Tra i banchi della chiesa di San Giuseppe, ieri mattina, anche tutta la Sassari che conta - a partire dai vertici del Banco di Sardegna, di cui Cossiga fu consigliere e il padre dirigente, prima della fusione dell’Istituto di credito agrario sassarese - e quella che gli fece la guerra, quando Cossiga si scriveva con la K, dagli esponenti del Pd locale agli ex missini. Commosso Carmelo Porcu, unito da un legame profondo con l’ex presidente, che risale agli anni trascorsi nel Villaggio San Camillo, una struttura per bambini disabili.«Se è vero che il massimo è essere sepolti dove è stata la nostra culla, la sua scelta di terminare qui il viaggio terreno risponde perfettamente a una verità biblica», ha commentato l’Arcivescovo di Sassari, Paolo Atzei, che ha presieduto la funzione religiosa, alla quale hanno preso parte il vescovo di Nuoro, Pietro Meloni, e l’abate di San Pietro di Sorres, padre Antonio Musi. Da Meloni, amico d’infanzia, un giudizio storico - «picconava per amore» - e l’ultimo viatico: «Francesco Cossiga, pur nel suo stile originale, un po’ anarchico-liberale, critico, fantasioso e sarcastico, nella sua "missione" ha certamente fatto del bene e se ha bisogno di perdono otterrà il perdono di Dio».
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