giovedì 19 maggio 2016
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PALERMO Un agguato in piena regola contro un uomo delle istituzioni, come non se ne vedevano da decenni nell’isola, pianificato nel dettaglio, con l’obiettivo di togliere di mezzo chi sta lottando per smantellare gli interessi mafiosi nelle campagne e nei boschi della Sicilia orientale, dalla costa messinese all’entroterra ennese. Ha lasciato sgomenti l’attentato ai danni del presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, scampato a una raffica di colpi di fucile, mentre si trovava nella sua auto blindata nella strada che unisce Cesarò a San Fratello. Era da poco passata l’una della notte di mercoledì, quando la macchina di Antoci, di ritorno da una manifestazione a Cesarò, è stata bloccata lungo i tornanti di montagna all’altezza di Casello Muto. A rallentare la vettura sulla quale viaggiava con due uomini di scorta, alcune grosse pietre sulla carreggiata. Quando l’auto si è fermata, il commando ha aperto il fuoco sulla vettura. Antoci era in dormiveglia e si è svegliato di soprassalto sentendo i colpi. La blindatura della carrozzeria ha fermato i pallettoni di grosso calibro, quelli usati per la caccia al cinghiale. A quel punto i poliziotti di una seconda macchina di scorta, tra cui il vicequestore Daniele Manganaro, dirigente del commissariato di Sant’Agata di Militello, che si è spesso occupato di reati ambientali e collegati agli interessi dei mafiosi sui terreni della zona, hanno cominciato a sparare. I sicari sono fuggiti, ma la presenza di alcune tracce di sangue fanno ipotizzare che uno de- gli attentatori sia stato ferito. È lo stesso Antoci, 48 anni, interrogato ieri dalla procura di Messina, a raccontare l’accaduto e a ricostruire i possibili moventi. «Abbiamo toccato interessi enormi – ammette ancora scosso –. Cosa Nostra si finanziava con i fondi europei, dopo che l’abbiamo messa in difficoltà, ha reagito». Alla guida dal 2013 del Parco dei Nebrodi, ha più volte subito minacce. Nel 2014 il primo avvertimento: «Finirai scannato tu e Crocetta ». Una lettera spedita da Catania il 7 dicembre e fattagli recapitare negli uffici del Parco, a Sant’Agata di Militello. Un anno dopo il centro di smistamento delle Poste di Palermo intercettò una busta con due proiettili diretti ad Antoci e al dirigente del commissariato Manganaro. «Credo che i banditi fossero quattro, forse sei. Sono state trovate anche due molotov inesplose – conferma Antoci –. È probabile che volessero incendiare l’auto, obbligandoci a scendere. Portato in ospedale, sono uscito alle 5,30. Ho visto mia moglie, i miei figli e i miei genitori anziani». «Il mio grazie va alla polizia di Stato per avermi salvato la vita - aggiunge -. Sono preoccupato ma sereno». E rilancia: «Non mi fermeranno, la mafia non è la più forte, penso di sapere a chi ho dato fastidio ma proseguirò non ho timore. Insieme alle forze dell’ordine e alla magistratura penso che ce la possiamo fare, e possiamo cambiare le cose tutti insieme se ognuno si prende una fetta di responsabilità ». Il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ha deciso il rafforzamento della tutela per Antoci. L’agguato «è un fatto molto grave e preoccupante - commenta il procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte, che coordina l’inchiesta - sia per le modalità dell’esecuzione, che denotano quelle mafiose, sia perché è la riprova che la mafia dei Nebrodi tenta di rialzare la testa». L’azione del presidente dell’Ente Parco, del prefetto di Messina, Stefano Trotta, del sindaco di Troina, nell’Ennese, Sebastiano Venezia, negli ultimi mesi, sembra aver colpito gli interessi economici di queste cosche. Per la prima volta gli enti regionali hanno cominciato a chiedere la certificazione antimafia anche per l’affidamento di appezzamenti di valore inferiore ai 150 mila euro. Sono state revocate assegnazioni per 4.200 ettari di terreno sui quali sono stati ricevuti contributi europei per 2,5 milioni di euro all’anno. Sarebbero stati accertati legami con i più potenti clan mafiosi dell’isola, quelli dei Bontempo Scavo, dei Conti Taguali, dei Santapaola e dei clan dei 'tortoriciani' e di Cesarò. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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