mercoledì 19 febbraio 2014
​Il motivo? La ricostruzione è ferma. Dopo l'assalto agli appalti abruzzesi le cosche si sono spostate verso Emilia Romagna e Milano.
COMMENTA E CONDIVIDI
​Le imprese mafiose abbandonano L’Aquila perché «la ricostruzione è ferma» e «tutto si è involuto verso la stasi più completa». Non si lavora e gli "appetiti" delle cosche si sono diretti altrove, soprattutto Emilia Romagna e Milano, dopo un vero e proprio «assalto alla diligenza» agli appalti abruzzesi, dimostrato dalle ben 27 imprese raggiunte, tra il 2009 e il 2012, da interdittive antimafia. Lo denuncia la Procura nazionale antimafia (Dna) nella Relazione annuale, depositata lo scorso gennaio, che dedica un capitolo alle "Infiltrazioni della criminalità organizzata nelle opere di ricostruzione in Abruzzo".Appena due pagine, ma parole molto dure nel testo del consigliere Olga Capasso per anni applicata alla procura dell’Aquila proprio per seguire il post terremoto. Ebbene, scrive il magistrato per spiegare l’attuale disinteresse delle mafie, «c’è stato l’abbandono dell’Aquila da parte dello Stato. Che non ha i fondi necessari, o ha deciso di investirli in altri campi a cui ha dato priorità». Tuttavia, si legge ancora, «l’attenzione della Procura dell’Aquila e della Dna non diminuisce». Così, dopo le quattro imprese messe sotto controllo nel 2012 e che hanno ricevuto interdittive antimafia, se ne aggiungono altre due che «presentano indubbie infiltrazioni mafiose e anch’esse con sede legale in Lombardia». Elemento di grande interesse, soprattutto in vista degli appalti per Expo 2015 di Milano, dove invece le imprese mafiose sono in aumento. C’è, ancora, sempre all’Aquila, un’altra impresa «completamente in mano alla ’ndrangheta» per la quale, «purtroppo non si può ancora intervenire perché a carico dei soci vi sono indagini in corso di non breve durata, ma che comunque, compatibilmente con il segreto delle stesse, è stata segnalata alla prefettura perché la tenga particolarmente sotto controllo». Ma è comunque poca cosa rispetto all’«assalto alla diligenza per arrivare ad accaparrarsi gli appalti più lucrosi operato negli scorsi anni da camorra, ’ndrangheta e Cosa nostra, in particolare quella gelese. Lo scambio di informazioni tra la prefettura e la Dna ha permesso al prefetto dell’Aquila di decretare l’interdittiva antimafia per numerose società». Quante siano lo spiega un altro magistrato della Dna, Diana De Martino, nel capitolo della Relazione dedicato ai "Pubblici appalti". «Complessivamente, dal 2009 ad oggi, sono 27 le imprese impegnate nella ricostruzione dell’Abruzzo colpite da determinazioni antimafia interdittive». Si tratta, si legge ancora, di imprese «che hanno sedi nel nord Italia, principalmente in Lombardia e in Emilia Romagna. I rispettivi soci, effettivi e occulti, e amministratori sono comunque calabresi e campani, impiantati da anni nelle regioni del settentrione, a dimostrazione del radicamento ormai stabile e diffuso della mafia in tutta Italia, con l’ovvia preferenza per le regioni più ricche come quelle citate».Ma ora per L’Aquila non è più così. «A distanza di quattro anni dal terremoto – comincia così il capitolo della Relazione –, la situazione degli appalti per la ricostruzione in Abruzzo da una parte è rimasta immutata, dall’altra ha visto un allontanamento degli interessi criminali da quel settore». Le due cose, denuncia la Dna, «costituiscono peraltro due aspetti dello stesso fenomeno. Infatti – spiega il consigliere Capasso – la ricostruzione è ferma e i pochi cantieri aperti sono quelli destinati al risanamento dei condomini privati». Mentre «per quanto riguarda la ricostruzione vera e propria della città, con i suoi palazzi antichi e gli edifici pubblici, tutto si è involuto verso la stasi più completa». Nei primi due anni «le imprese contigue alla mafia o possedute in prima persona da soggetti condannati per associazione mafiosa sono state passate al setaccio e sono state tante». Ma «poi la stretta vigilanza attuata, ma soprattutto la mancanza di fondi per pagare i lavori, hanno fatto progressivamente allontanare le imprese dal mercato, una volta ricco e promettente di grossi guadagni e ora abbandonato perché c’è stato l’abbandono dell’Aquila da parte dello Stato». Così, conclude la Relazione, «ora le poche imprese che lavorano sono quasi tutte abruzzesi e tranne qualche caso sporadico e tempestivamente individuato, non hanno alcun rapporto con la criminalità organizzata». Che ora opera dove i fondi ci sono.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: