sabato 13 maggio 2023
A prendersi cura di lei, andandola a trovare ogni giorno, il marito Angelo: «L'ho sposata 16 mesi prima dell'incidente. Ho onorato così la promessa di starle vicino nella buona e nella cattiva sorte»
Cosa insegna la storia di Miriam, morta dopo 32 anni in stato vegetativo
COMMENTA E CONDIVIDI

Non considerare una persona in stato vegetativo un fardello, o una maledizione. Lottare contro tutto e tutte le difficoltà per prendersene cura, partendo dal presupposto che la vita - ogni vita, anche una ferita, stravolta, incomprensibile nella sua nuova forma - va tutelata e protetta, accolta, accarezzata. Non interrotta. È quello che è riuscito ad Angelo Farina con la sua Miriam, la donna che appena 16 mesi dopo il giorno del matrimonio, nel 1991, gli è stata strappata via da un tragico incidente stradale. A cui è sopravvissuta, miracolosamente, rimanendo però in coma per 32 anni, fino alla morte sopraggiunta in questi giorni all'ospedale di Bassano del Grappa. Trentadue anni in cui il marito non l'ha mai abbandonata, andando a trovarla ogni giorno nella struttura in cui era ricoverata.

A raccontare da Vicenza questa storia commovente d'amore, simile alle molte di cui Avvenire ha scritto in questi anni (qui l'ultima, quella di Viviana, una donna in stato vegetativo da 14 anni sempre in Veneto, a Feltre), è stato proprio Angelo, in una lunga intervista rilasciata a La Stampa. «Starle accanto e andare da lei tutti i giorni è stato il mio modo di onorare la promessa che ci eravamo scambiati sull'altare, che recita “nella buona e nella cattiva sorte”» ha detto. Significativi i particolari della sua testimonianza: «Soprattutto, l'accarezzavo. Fin da subito ci è stato detto che la cosa migliore era farle sentire la nostra presenza e io sono sicuro che l'ha sentita. Le mettevo le sue canzoni preferite. Musica pop. Poi le raccontavo cosa mi era successo nella giornata». Con il marito, accanto a Miriam, la madre della donna e le sorelle: «Insieme non abbiamo mai smesso di prenderci cura di lei. Anzi, il loro sacrificio è stato anche più grande, perché dovevano venire da Treviso». Alla domanda sul se abbia mai creduto che ciò che faceva fosse «inutile», Angelo ha risposto di no: «Soprattutto i primi anni, ho avuto momenti di grande sconforto. Ma glielo dovevo. Lo dovevo a entrambi. Guardandomi indietro, sono convinto di non aver perso il mio tempo e spero che lei non pensi di aver perso il suo. Oggi l'ho seppellita sentendo che finalmente ha avuto pace per la sua ingiustizia».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: