domenica 22 dicembre 2013
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Il suo regalo di Natale l’ha già ricevuto. «Il Papa mi ha detto: "Voglio venire a Taran­to"». Il suo regalo alla città e alla diocesi, invece, monsignor Filippo Santoro lo sta con­fezionando giorno per giorno. «Vorrei dire a tutti – afferma l’arcivescovo – che Taranto non sta morendo. Anzi vuole rinascere e ha in sé risorse per farlo». Insomma, pur tra tanti pro­blemi, è un Natale di speranza quello che la città dei due mari si appresta a vivere. E que­sta speranza ha nell’azione della Chiesa locale un preciso punto di riferimento.
Monsignor Santoro è reduce da un’udienza con France­sco e non nasconde la sua soddisfazione. Che cosa le ha detto il Papa? Le sue parole e la sua vicinanza sono state il più bel regalo di Natale che potessi ricevere. Mi ha manifestato il suo desiderio di venire da noi per portare conforto in tutte le situa­zioni critiche. E io gli ho ricordato la Messa di Paolo VI all’Italsider, la notte di Natale del 1968, e il 25° della visita di Giovanni Paolo II, che ricorrerà a ottobre. Naturalmente biso­gnerà tener conto dei suoi tanti impegni.
Attualmente qual è la situazione in città? Ci dipingono come una città che sta per mo­rire. Ma non è così. Anzi vedo segnali di spe­ranza. Lo scorso 7 novembre abbiamo fatto un convegno, mettendo intorno allo stesso tavolo persone che fino a quel giorno pole­mizzavano tra loro. A tutti abbiamo chiesto: «È possibile una produzione che non sia no­civa per l’ambiente?». La scienza dice di sì. A Duisburg, in Germania, una grande impresa siderurgica è stata resa compatibile con la vi­ta e con l’ambiente.
Che cosa chiede alle istituzioni e all’Ilva? Vorrei che gli impegni assunti di coprire i par­chi minerali, di adeguare gli impianti alle nor­me antinquinamento e di bonificare l’ambien­te siano realizzati. Ma Taranto non è solo l’Ilva. Questo problema ha polarizzato tutto l’interes­se e ha finito per creare una cappa di pessimi­smo. Invece ci sono anche le realtà positive. C’è la fede della gente, la storia, la cultura, la bellezza dell’ambiente. Di recente abbiamo rivitalizza­to la città antica con una serie di iniziative cul­turali. Da tutto questo occorre ripartire.
Tra i segni di speranza inserisce anche la bo­nifica dei terreni del Centro Murialdo? Il lavoro di padre Preziuso è di grande inte­resse perché c’è l’incontro fra tre realtà: la fe­de, la scienza e la solidarietà. Dunque pos­siamo dire che il seme del Vangelo aiuta dav­vero a trasformare la terra. Un altro segno di speranza è il nuovo centro di accoglienza not­turna per senza fissa dimora che vogliamo fare in vista della quaresima. L’esperimento può servire da paradigma per la bonifica dell’Ilva? I tecnici dicono di sì. Certo in quel caso le di­mensioni sono macro, ma si può fare. Io tra l’altro vedo il nostro esperimento anche co­me un esempio di collaborazione.
Non c’è un problema del lavoro e un problema delle per­sone ammalate. Le due cose sono collegate. Quindi dico: la Chiesa è vicina sia ai lavora­tori, sia a chi ha subito danni per la salute.
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