sabato 23 novembre 2013
​Quale terapia per le aree avvelenate dai rifiuti tossici tra Napoli e Caserta? Le proposte di decine di esperti: bonifiche, controlli più accurati, interventi sanitari e di polizia. E un auspicio condiviso da tutti: «Anche le coscienze vanno decontaminate».
LA LETTERA «Il decreto si farà, magari a Caivano» di Nunzia De Girolamo, ministro Politiche agricole
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Molto si può fare perché la Terra dei fuochi in Campania non sia più esempio di incuria, di abbandono. Tante le soluzioni perché si ritorni a parlare di "madre terra" prima ancora che Campania felix. Le proposte operative per il risanamento ambientale della Campania sono racchiuse in un lungo elenco: avvio del Registro tumori, regia interforze per il controllo del territorio, mappatura dei terreni agricoli e delle falde acquifere, recupero di siti contaminati con specie vegetali no food, raccolta differenziata, metodi investigativi più avanzati, reato di disastro ambientale perseguibile con pene analoghe ai reati di associazione mafiosa. Soprattutto, e la precisazione è di Tonino Pedicini, direttore generale dell’Istituto Pascale per i tumori di Napoli, non bisogna credere che non ci siano le condizioni per risolvere e per superare l’attuale stato di degrado in cui versano alcuni territori della Campania e i suoi abitanti.Idee ampiamente descritte ieri nel primo dei due giorni del convegno "La bioetica ambientale come difesa della civiltà", promosso da Le Assise della Città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia, dall’Associazione internazionale Medici per l’ambiente-Isde e dalla Cooperativa sociale Humanitas. Gli esperti intervenuti hanno espresso la convinzione che il risanamento ambientale oltrepassi i confini scientifici per collegarsi al più ampio tema dei valori morali. Non a caso, premessa ad ogni azione di decontaminazione del territorio è «il disinquinamento delle coscienze», come ha osservato Aldo Loris Rossi, architetto e ambientalista della prima ora, che ha inquadrato storicamente l’attuale disastro ambientale datandone gli inizi al 1953. Fu allora che il cratere Senga a Pianura, periferia occidentale di Napoli, venne  consapevolmente scelto, grazie alla connivenza tra malavita organizzata e politica, perché diventasse la discarica d’Italia. È il sito dove tra i 70milioni di tonnellate di rifiuti sversati in 43 anni – la discarica fu chiusa nel 1996 – furono trovate le 800mila tonnellate di fanghi provenienti dall’Acna di Cengio, in Piemonte. Il primo passo da fare è appunto quello di non ripetere non solo quel peccato originale, anche i troppi successivi, che hanno portato alla situazione di grande preoccupazione soprattutto per gli abitanti delle province di Napoli e di Caserta. Le aree dove si registra un aumento delle patologie tumorali, scientificamente non collegabile in modo diretto ai rifiuti tossici illegalmente sversati, anche se le coincidenze appaiono davvero troppe. Ma in Campania – ecco l’anello debole – manca il Registro Tumori nonostante il Consiglio regionale ne abbia approvato l’attuazione. Ieri è stato il presidente dell’Isde Napoli, Giuseppe Comella, a sottolinearlo: necessario attivarlo al più presto, poiché per avere dati completi occorreranno non meno di cinque anni. Tra le altre richieste emerse con forza, quella di completare la mappatura dei terreni agricoli per individuare e distinguere le discariche dai terreni inquinati: le informazioni, non tutte esatte, sul degrado ambientale della Campania – che in realtà riguarda una minima parte del territorio –  sta danneggiando 30mila aziende agricole sane ed un sistema produttivo avanzato, ha spiegato l’agronomo Giuseppe Messina. La Campania – ha ribadito – vanta primati che non possono essere annullati né da campagne mediatiche fuorvianti, né da dichiarazioni di pentiti riciclati.
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