mercoledì 27 novembre 2019
Arrivati a Fiumicino i richiedenti asilo salvati grazie al progetto di Comunità di Sant'Egidio, Fcei e Tavola Valdese. In Italia sono ormai 1800. L'abbraccio dei familiari già integrati
I trenta bambini siriani che hanno aperto il gruppo dei profughi all'ingresso della sala arrivi dell'aeroporto di Fiumicino

I trenta bambini siriani che hanno aperto il gruppo dei profughi all'ingresso della sala arrivi dell'aeroporto di Fiumicino

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Tremila profughi in tre anni in Europa, arrivati in piena sicurezza, seguiti in un percorso di integrazione diffuso sui territori da comunità, parrocchie, associazioni. Il modello dei corridoi umanitari - lanciato dalla Comunità di Sant'Egidio, Federazione chiese evangeliche in Italia (Fcei) e Tavola valdese - giunge a quota 1.800 in Italia, ma si è diffuso anche in Francia, Belgio, Andorra e prossimamente arriverà in Germania. In Europa sono complessivamente 3.000, grazie all'ultimo gruppo sbarcato questa mattina all'aeroporto di Fiumicino: 113 richiedenti asilo, tra cui 30 minori, salvati dai campi del Libano, paese a sua volta sull'orlo della guerra civile. Originari di Aleppo, Homs, Idlib, le famiglie andranno un po' in tutta Italia: da Roma a Meta di Sorrento, da Genova a Vico Equense, da Sassari, a Formia. E poi Cattolica, Napoli, Pontassieve, Firenze, Luserna, Fossano, Pisa, Pesaro, Pinerolo, Trento, Reggio Calabria, Butrio... Nell'Italia che apre le porte e che aiuta.

Un modello di successo, lanciato a inizio 2016 - e riproposto dalla Cei assieme a Sant'Egidio con un corridoio attivo in Etiopia per i profughi di Eritrea, Somalia, Sud Sudan - e totalmente autofinanziato dalle chiese cristiane che lo gestiscono. Ad accogliere queste famiglie, stanche ma felici per la possibilità concreta di una nuova vita, il presidente della Comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo, la vicepresidente della Fcei Christiane Groeben, la pastora Thesie Mueller della Tavola Valdese. In rappresentanza del governo - Viminale e Farnesina collaborano per tutti gli aspetti legali e burocratici - la viceprefetto Donatella Candura. Un benvenuto anche dall'Unione buddhista italiana che ha deciso, spiega il vicepresidente Stefano Bettera, di contribuire al sostegno economico, in modo stabile, di questo modello di accoglienza e integrazione.

Ma ad attendere i 113 ci sono soprattutto tanti altri siriani, arrivati da tempo in Italia proprio grazie ai corridoi. Lavorano, hanno imparato l'italiano, mandano i figli a scuola, si sostengono ormai con le loro forze. Moustafa Khlaf, 29 anni, sorriso smagliante, a dire il vero è l'unico che in Italia c'è arrivato da solo, 12 anni fa, cercando un'occupazione. Ma la guerra l'aveva separato dalla famiglia. Oggi racconta dell'accoglienza che ha avuto dalla diocesi e dalla Caritas di Sassari, città dove lavora nell'assistenza agli anziani. Sta seguendo un corso per operatore sociosanitario. Oggi è a Roma per riabbracciare commosso la sorella Amani, che non vede da anni, arrivata col marito Mohammed e tre figli di 7, 12 e 14 anni. Altri due fratelli sono in Turchia. I genitori vivono da tempo a Malmo, in Svezia. «E stasera - dice tutto contento con un lieve accento sardo - gli faccio una sorpresa: li videochiamo perché voglio presentargli la mia fidanzata, è di Porto Torres. Ma farò vedere a mamma e papà che c'è anche Amani!». La famiglia di Moustafa, sparsa un po' in tutta Europa, comunque è salva. Un velo di amarezza offusca però suoi occhi verde acqua quando parla del suo paese. «Sconfiggere la guerra è possibile, sconfiggere la malattia che ha portato, diffondendo i batteri del radicalismo e dell'intolleranza, sarà difficilissimo. Mai avuto problemi tra cristiani e musulmani. Hanno soffiato sulle differenze e il mio amato paese è esploso. Il governo ha sbagliato, doveva concedere delle riforme. Anche la caffettiera ha una valvola di sicurezza. La Siria no. Ed è esplosa».

E ad attendere i siriani ci sono anche le comunità e le parrocchie che se li porteranno a casa. Come don Mariano Parisella di Formia, sulla costa del basso Lazio, incaricato dall'arcivescovo della diocesi di Gaeta monsignor Luigi Vari, di accogliere una famiglia di sei persone, mamma, papà e quattro bambini di 8, 6, 3 e un anno. «Abbiamo coinvolto anche l'Azione Cattolica diocesana - racconta il sacerdote - e la parrocchia da parte sua ha risposto subito. Una famiglia ha messo a disposizione un appartamento, poi siamo stati subissati di passeggini e arredi vari. Ma sono certo che sarà più quello che riceveremo, come comunità, che quello che daremo».


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