giovedì 28 marzo 2019
Famiglie e bambini a Roma dal Libano grazie al progetto di Sant'Egidio, Fcei e Valdesi in accordo con Viminale e Farnesina. Appello per una evacuazione umanitaria dei "lager" libici
L'ingresso a Fiumicino dei bambini siriani (foto Luca Liverani)

L'ingresso a Fiumicino dei bambini siriani (foto Luca Liverani)

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I bambini passano il varco aeroportuale gridando «Viva l'Italia!», i più piccoli - stanchi e spettinati per il viaggio - in braccio alle mamme e ai papà. Diciassette minori, tra bimbi di pochi mesi e adolescenti, contenti dei palloncini e delle bolle di sapone avuti in regalo. Dall'altra parte tra fotografi, cameraman e i tanti volontari delle organizzazioni che li accoglieranno in Italia, ci sono altri siriani, in Italia da mesi o da anni. E sono abbracci lunghi, occhi rossi, lacrime di gioia che scorrono. Famiglie finalmente riunite che possono davvero chiudere con l'inferno della guerra a Damasco, Homs, Aleppo e cominciare a ricostruirsi una seconda vita in Italia. Sono i 54 profughi siriani portati via dai campi profughi in Libano per particolari condizioni di vulnerabilità dai volontari dell'Operazione Colomba dell'associazione papa Giovanni XIII, che collabora da sempre con il progetto lanciato ormai da più di tre anni da Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Tavola Valdese.

Un modello virtuoso, realizzato in collaborazione con i ministeri del'Interno e degli Esteri che ha permesso finora l'arrivo di oltre 2 mila persone, quasi tutti siriani, in tutta sicurezza per chi arriva evitando naufragi o pericolose rotte balcaniche. E per chi accoglie, visto che i profughi arrivano già con i documenti, pronti per la domanda di asilo. Tutto a totale carico degli organizzatori da associazioni, parrocchie, comunità. Che si fanno carico anche dell'accompagnamento nel percorso di integrazione: i bambini subito a scuola, corsi di italiano e lavoro per gli adulti. Un modello che da tempo anche la Cei, attraverso Caritas e Migrantes, ha da tempo replicato in Etiopia, in collaborazione con Sant'Egidio, per portare in salvo finora centinaia profughi in fuga dalla dittatura in Eritrea, dal caos della Somalia, dalla guerra civile in Sud Sudan, dai bombardamenti sauditi in Yemen.

Il benvenuto ufficiale viene da Emanuela Del Re, viceministro degli Affari esteri: «Sono commossa e orgogliosa perché l'Italia vi accoglie e dà un futuro ai vostri bambini. Il governo sostiene fortemente i corridoi umanitari, un modo bellissimo per far arrivare le persone in sicurezza e con un progetto». «Benvenuti in Italia, Paese accogliente- dice Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio - che ha creduto nel progetto dei corridoi. Qui in Italia troverete una vita diversa, più bella. Un mondo migliore e vi chiediamo di essere anche voi protagonisti di un mondo migliore in Italia, per renderla più bella». E conclude: «Siete nostri fratelli e sorelle e vi chiediamo di esserlo anche voi per noi».

Un benvenuto anche da Paolo Naso coordinatore di Mediterranean Hope (Mh), programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei): «Come chiese evangeliche, insieme ai fratelli e alle sorelle di Sant'Egidio, saremo al vostro fianco nei prossimi mesi. I corridoi umanitari funzionano, servono ai profughi ma anche all'Italia per mantenere alta la sua tradizione di paese che afferma e difende i diritti umani. E ancora oggi chiediamo un grande corridoio umanitario europeo dalla Libia, dove decine di migliaia di persone vivono in condizioni disumane in cosiddetti campi profughi». Giorgio Raspa, presidente dell'Unione buddhista italiana, assicura un sostegno economico al progetto dei corridoi: «La comunità buddista non poteva restare a guardare la vostra sofferenza».

Nawar non riesce a trattenere la commozione. Studente di medicina a Novara, è arrivato due anni fa in Italia con un permesso di studio. Viene da Al-Qaryatayn, cittadina vicino Homs. La sua famiglia è cristiana ed è è riuscita a contattare attraverso un monaco amico Sant'Egidio. Ora sono tutti qui: il papà, fabbro, la mamma fisioterapista e due fratelli adolescenti che non vedeva da due anni e quasi non riconosce per quanto sono cresciuti. Comincia per tutti una nuova vita. Il padre stringe nelle mani forti un oud a undici corde, il liuto arabo, la sola cosa bella che ha voluto conservare in questo grande viaggio.

Batte forte il cuore anche a Mulham, 33 anni, arrivato grazie a i corridoi due anni e mezzo fa da Damasco. Ora vive a Firenze, fa il cassiere in un negozio biologico. Da un anno è fidanzato con Mirna. «Sì, per telefono, ma eravamo amici da tanti anni e conoscevo la famiglia che è d'accordo. Ha lasciato i suoi per costruirsi un futuro qui con me. Ora starà a Roma dalle suore, siamo cristiani, ma appena trovo un appartamentino ci sposiamo. Con la Siria abbiamo chiuso definitivamente».

Tra chi ce l'ha fatta ed è tornata a Fiumicino per accogliere amici e conterranei c'è Jasmine, minuta e sorridente, col volto incorniciato da hijab islamico. È arrivata per prima, a febbraio 2016, col marito e due bambini. La femmina aveva bisogno di cure urgenti per non perdere la vista . Jasmine passa disinvoltamente dall'italiano all'arabo: «Ho imparato la lingua alla scuola di italiano di Sant'Egidio, lavoro come mediatore culturale con la Diaconia valdese e sono al secondo anno di università per specializzarmi in questa professione. Anche mio marito lavora. Mia figlia? Ha completato le cure e sta molto meglio».





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