martedì 29 dicembre 2020
Il ceppo circolerebbe nel nostro Paese da agosto. Caruso (Società italiana di virologia): il vaccino dovrebbe contrastarlo, ma gli studi sono ancora in corso
Al lavoro per vaccinare il personale dell'Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma

Al lavoro per vaccinare il personale dell'Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma - Ansa

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C’è una variante italiana del tutto simile al “virus inglese”. Nel sangue dei malati di Covid 19 è stata riscontrata una mutazione 'omologa' a quella che secondo i britannici ha aumentato la contagiosità del coronavirus, dopo il 'salto' compiuto con la mutazione D614g. In questo caso, si tratta di una variazione avvenuta probabilmente in primavera (aprile) ma riscontrata in agosto in un paziente oncologico degli Spedali Civili di Brescia. Non è ancora provato che modifichi la contagiosità, come avviene nel caso del inglese, ma anch’essa si verifica sulla proteina Spike, che si aggancia al recettore umano, e si accompagna a una seconda mutazione sulla stessa proteina. Secondo uno studio appena sottomesso a Lancet Infectious Disease, la mutazione inglese N501Y, così come quella italiana N501T – avvenute indipendentemente ma partendo da un unico progenitore –, devono “preoccuparci” perché avvengono in un’area critica della Spike. 'Recenti scoperte sull’evoluzione della SARS-CoV-2, chiamano la comunità scientifica ad un massiccio sforzo per identificare nuove varianti che possono aumentare la diffusione virale così come sfuggire all’immunità neutralizzante naturale o indotta da vaccino' sono le conclusioni della ricerca firmata tra gli altri da Arnaldo Caruso (Spedali Civili, Brescia) e Massimo Ciccozzi (Campus Biomedico, Roma).

La nuova variante precede quella inglese (segnalata in settembre) che sta mettendo a soqquadro l’Europa e in un certo senso dimostra che l’impennata dei contagi nel Regno Unito non dipende solo dal virus ma anche dalla capacità di risposta del sistema sanitario britannico.

Come ci spiega Arnaldo Caruso, alla scoperta si è arrivati «casualmente, osservando una persistenza virale anomala in un paziente che aveva sofferto di Co- vid-19 in aprile. Dopo guarigione, i tamponi effettuati da agosto in poi avevano sempre dato esito positivo con virus ad alta carica. A novembre, ci siamo decisi a sequenziare il virus per capire il perché di questa persistenza. Con nostra sorpresa ci siamo resi conto di avere identificato una nuova variante, simile ma non identica alla variante inglese che iniziava a circolare anche in Italia. A questo punto, abbiamo sequenziato anche un campione dello stesso paziente ottenuto ad agosto e la Spike variata era già presente allora, con tutte le sue mutazioni».

Secondo Ciccozzi «la nuova variante italiana potrebbe essersi generata intorno ai primi di luglio e questa è di certo la prima evidenza di mutazioni nella proteina Spike a livello della posizione 501 in Italia e forse, almeno ad oggi, in Europa. L’omologia di sequenza tra la variante da noi identificata e quella inglese porta a pensare che la prima possa avere di fatto generato le altre che oggi stanno emergendo nel nostro continente». Diversamente dalla variante inglese, quella italiana presenta anche una seconda mutazione nella Spike, in posizione 493.

Questa capacità del coronavirus di mutare può condizionare il vaccino? Caruso getta acqua sul fuoco: «Il vaccino genera una risposta complessa verso tante aree della Spike. Anche se vi fossero alcuni anticorpi non in grado di riconoscere una zona mutata come quella in posizione 501 o 493, ce ne sarebbero sicuramente altri in grado di legarsi a porzioni non mutate della proteina. Il loro legame sarebbe sufficiente ad impedire l’interazione tra Spike e recettore cellulare anche solo per una sorta di ingombro sterico che gli anticorpi creerebbero sulla superficie del virus». Ai Civili si lavora proprio sulla capacità degli anticorpi di neutralizzare questa variante.

Il presidente della Società italiana di virologia sottolinea che «purtroppo non si è raccolto in Italia l’invito a monitorare il virus nel tempo», poiché «vi era la tendenza ad affermare che il virus non mutasse, contro chiare evidenze riportate in letteratura ed a livello internazionale». I centri di ricerca, sottolinea, hanno tutto il know how necessario ma mancano i fondi. «Mancano i finanziamenti per la ricerca, e manca principalmente una regia ed una organizzazione finalizzata alla sorveglianza sull’emergenza di varianti virali sul territorio nazionale» commenta, richiamando l’idea del consorzio, sul modello inglese, per il sequenziamento a tappeto del Sars Cov 2, caldeggiata dal presidente dell’Aifa Giorgio Palù. «Insieme a tanti colleghi che utilizzano sistemi molecolari – annuncia Caruso –, cercheremo di costituire un consorzio sul modello inglese perché in Italia si inizi un’attività di sequenziamento virale cruciale per prevenire il diffondersi di varianti di Sars-CoV-2 sempre più temibili per la nostra salute e possibilmente capaci di vanificare l’efficacia di farmaci e vaccini. Questo modello di consorzio sarà anche utile per affrontare futuri eventi epidemici e pandemici non necessariamente limitati al solo Sars-CoV2. Spero che tanti colleghi possano aderire a questa iniziativa, e che questa possa trovare un valido supporto ed un consenso da un governo oggi più attento e preparato a rispondere a questa importante esigenza».

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