lunedì 23 marzo 2020
Come per i senza dimora, l'epidemia colpisce più duramente i rom nelle baraccopoli: sovraffollate, con servizi insufficienti, distanti da supermercati. La ricerca dell'Associazione 21 luglio
Emergenza Rom nella Capitale: «Io resto a casa? No, io resto nel campo»
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«Io resto a casa? No. Tu resti a casa. Io resto nel campo. Sta qui tutta la differenza!». È questa frase, pronunciata da un abitante della baraccopoli di via di Salone – periferia est della Capitale – l’incipit dell’indagine #IoRestonelCampo - Indagine sul primo impatto del decreto del 9 marzo 2020 in alcuni insediamenti formali della Città di Roma. Curata da Associazione 21 luglio, la ricerca valuta l’impatto del decreto governativo IoRestoaCasa sui 3.500 abitanti delle baraccopoli formali monoetniche della città di Roma, ovvero in 6 “villaggi attrezzati” e in 9 “campi tollerati”.

I ricercatori di Associazione 21 luglio si sono serviti di interviste telefoniche, realizzate tra il 14 e il 17 marzo 2020, che hanno coinvolto 24 soggetti dimoranti presso il “villaggio” di via Cesare Lombroso, di via Luigi Candoni, di via dei Gordiani; di Castel Romano, di via di Salone. Tali insediamenti, all’interno dei quali vivono circa 2.200 persone tra cui circa 1.050 minori, si caratterizzano «per il loro carattere segregante e per l’isolamento spaziale e relazionale, che ha prodotto nella città di Roma
- si legge nella ricerca - la ghettizzazione di comunità rom in emergenza abitativa in spazi a loro destinati, segnati da un sovraffollamento interno alle unità abitative dove, in alcuni casi, in container deteriorati di 21 mq vivono anche 6 o 7 persone».

Al momento non si registrano casi di rom positivi al coronavirus: «Che io sappia non si sono registrate febbri o influenze nelle baraccopoli - dice il presidente dell'Associazione 21 luglio Carlo Stasolla - ma non le abbiamo mappate tutte. Nei campi non ci sono presidi sanitari e sono lontani da strutture ospedaliere». Una conferma arriva dall'ospedale Lazzaro Spallanzani: «Presso questo Istituto non sono, allo stato, ricoverati cittadini di etnia rom», si legge nell'odierno bollettino medico. «Cosa accadrebbe – si chiede Associazione 21 luglio - se, come prospettato da alcuni abitanti intervistati, in un insediamento come quello di via Luigi Candoni, abitato da più di 800 persone di cui la metà minori, venisse riscontrata anche una sola positività? La promiscuità presente nella baraccopoli e l'evidente sovraffollamento renderebbe impossibile isolare il paziente e la sua famiglia. Andrebbe messa in quarantena l’intera comunità?».

In nessuna baraccopoli è stata segnalata la presenza di operatori sanitari disponibili a distribuire dispositivi di prevenzione o ad illustrare le misure atte a prevenire il contagio. Le azioni raccomandate dalla tv sono scarsamente praticabili, però, viste le condizioni igieniche e l'incerta disponibilità di acqua corrente (scarsa in via di Salone, solo da autobotte a Castel Romano). Altro grave problema per i rom è l’impossibilità di svolgere le consueta attività lavorative, come il "rovistaggio" nei cassonetti in cerca di metalli da rivendere.

Il divieto di mobilità colpisce persone che già vivono in campi lontani anche chilometri dai supermercati ma che devono comunque «procacciarsi da mangiare: vivendo di lavori informali e con un guadagno quotidiano, se uno non esce muore di fame. Anche perché nei container non ci sono frigoriferi o dispense. Si stanno creando situazioni drammatiche dov'è c'è la necessità di avere beni di prima necessità, per famiglie spesso molto numerose». Anche la sospensione dell’attività scolastica e l’impossibilità di utilizzare strumenti tecnologici per la didattica a distanza pone i minori in uno stato di grave isolamento in rapporto ai coetanei e agli insegnanti.

L’analisi delle condizioni delle baraccopoli romane e i recenti fatti di “quarantene” di insediamenti rom a Cuneo e a Lucca, fa apparire concreto il rischio che un’eventuale positività al Codiv-19 nelle baraccopoli della Capitale, «lasciate nell’abbandono più totale da anni unito al disinteresse istituzionale, possa far esplodere problematiche sanitarie difficili da governare per gravità». L'Associazione lancia un appello on line rivolto alla sindaca Virginia Raggi e al prefetto di Roma Gerarda Pantalone per chiedere di: garantire nelle baraccopoli romane la distribuzione beni di prima necessità e condizioni igienico-sanitarie adeguate, in primis l’acqua potabile; assicurare negli insediamenti la presenza di operatori sanitari e mediatori culturali per promuovere una campagna informativa e distribuire dispositivi di protezione individuali; rinforzare e coordinare una rete di volontariato per monitorare le condizioni igienico-sanitarie e la salute di chi vive nelle baraccopoli della Capitale; in caso di riscontro di una o più positività al Covid-19 negli insediamenti formali, predisporre per tempo un adeguato e tempestivo piano di intervento sanitario, al fine di evitare che la città arrivi impreparata a tale evento.

«Mai come in questi giorni difficili – afferma Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio - Roma deve mostrare il suo volto di città solidale, attenta agli ultimi e garante dell’art.32 della Costituzione Italiana che estende a tutti i cittadini le azioni di tutela e prevenzione della salute pubblica. Alle 6.000 persone che oggi vivono nelle baraccopoli romane, non dimentichiamo i 7.700 senza fissa dimora. Un esercito di uomini, donne, bambini in condizioni estreme, ai quali deve essere salvaguardato il diritto alla salute a vantaggio loro e a tutela dell’intera collettività».

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