mercoledì 21 novembre 2018
Domenica alle urne. Il Comune, sciolto per mafia nel 2016, è rinato grazie alle tre commissarie: ripartiti i lavori pubblici, la riscossione delle tasse, la raccolta dei rifiuti
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L'ultimo segno è stata cinque giorni fa l’intitolazione di via Scorsone, dove abita ancora Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina, al giudice Cesare Terranova fatto uccidere nel 1979 proprio dal boss corleonese, e l’asilo nido di Via Punzonotto a Caterina e Nadia Nencioni, le bambine morte nel 1993 per la bomba a via dei Georgofili a Firenze, frutto della strategia stragista del “capo dei capi”. Uno dei primi segni erano state la bandiera italiana e quella europea sul balcone di una casa confiscata al clan, e finalmente liberata dalla famiglia che continuava ad occuparla abusivamente. In mezzo i due anni di commissariamento del comune di Corleone, sciolto il 12 agosto 2016 per condizionamento mafioso e che torna al voto domenica prossima.

A guidare il comune in questi due anni sono state tre donne, Maria Cacciola, Rosanna Mallemi e Giovanna Termini. Che hanno amministrato molto bene Corleone, sono state apprezzate dai cittadini, hanno fatto scelte chiare e nette, colpendo gli interessi di Cosa nostra e di chi è ancora colluso. Messaggi precisi. E ora aspettano scelte altrettanto forti da parte dei cittadini. «Qui – ci dicono – il poliziotto è sempre stato “lo sbirro”, l’amministrazione un ostacolo. Noi abbiamo spiegato che invece sta al loro fianco. Se ora si tornasse indietro sarebbe molto triste. Tocca a loro scegliere. Glielo abbiamo detto anche in un’assemblea: "Tutto può tornare come prima, scegliete voi"». E ancora: «Abbiamo voluto dare un’immagine diversa di Corleone. I cittadini dovrebbero essere molto arrabbiati con chi li ha fatti conoscere per altro. C’è voglia di dire "noi siamo i veri corleonesi" ma fanno fatica a uscire allo scoperto, bisogna aiutarli. Noi lo abbiamo fatto».

Fin dal primo forte segnale alla mafia. Come lo sgombero della casa dei fratelli Lo Bue, l’ultimo bene confiscato non ancora utilizzato. Confiscata a metà, solo la parte di Rosario, attualmente in carcere ma con la famiglia ancora lì. Un anno e mezzo fa le commissarie la liberano, e ci mettono l’Ufficio patrimonio del Comune e quello del Consorzio sviluppo e legalità, che gestisce i beni confiscati di otto comuni del territorio. Sul balcone vengono messi il Tricolore e la bandiera azzurra e stellata della Ue.

Un balcone diviso a metà perché nel resto della casa continua a vivere l’altro fratello, Calogero, sorvegliato speciale, con la famiglia. Il mafioso non tollera questa decisione e reagisce. «Stendeva dall’altra parte il bucato, noi avevamo messo le bandiere e lui metteva le mutande», ricordano le commissarie. E poi «protestava perché, diceva, "le bandiere fanno rumore e non mi fanno dormire"», racconta sorridendo il segretario comunale Lucio Guarino, che è anche direttore del Consorzio. «Il mafioso le legava e noi le slegavamo».

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Ovviamente le bandiere sono sempre lì a sventolare, mentre nella casa sono stati organizzati eventi, anche con artisti internazionali. E perfino una mostra con gli oggetti trovati nella casa del mafioso. «Abbiamo fatto vivere questo palazzo», dicono con orgoglio le commissarie. Ma non solo. La lottizzazione del 1989 obbligava a cedere al comune il terreno di fronte all’edificio. Non era mai stato fatto. Ora, malgrado le ripetute contestazioni del mafioso, la cessione è stata formalizzata. «Un segnale di ripristino delle regole».
Segnali e buon governo. Anche perché le commissarie hanno trovato un disastro amministrativo e hanno dovuto ricreare legalità e efficienza. La riscossione delle tasse comunali era affidata a una società esterna. «Fatta male, con un’evasione dell’80%. Abbiamo revocato l’incarico. Ora la facciamo in house e siamo risaliti al 50%».

La raccolta differenziata non esisteva. È partita tre mesi fa ed è già al 20% e presto con l’umido si arriverà al 40%. Eliminata le ricorrente crisi idrica, costruito un campetto di calcio, riaperta la palestra comunale, rifatte le strade, recuperati finanziamenti che sembravano persi. Attivazione dei pagamenti all’amministrazione per via telematica, il primo comune dell’area. Adozione del Piano di efficientamento energetico, iniziando con l’illuminazione a led e il cambio del vetusto parco macchine comunale. Licenziato finalmente un dipendente comunale condannato definitivamente per mafia. E stabilizzato il personale precario: era il 50% e alcuni da 20 anni.

E i mafiosi? «Hanno provato ad avvicinarci ma noi abbiamo sempre spiegato che si deve seguire la via maestra e non scorciatoie». Per i cittadini «porte aperte, abbiamo interloquito con tutti, ma poi è toccato a noi decidere». Certo, ammettono, «c’è una società in evoluzione, distante da una situazione tipica mafiosa, ma la mafia ancora c’è». In altre parole «Corleone non è più paese di mafia ma è ancora un paese dove c’è la mafia. Prima governavano loro, ora non più. Però, malgrado le istanze di tante persone pulite c’è ancora resistenza a uscire dalla cultura mafiosa. "Ma è proprio finita?", dicono. Ma i giovani vorrebbero più attenzione, non solo sulla mafia. Vorrebbero azzerare e ricominciare davvero. Il passato è una zavorra pesante. Ora c’è voglia di normalità».

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