giovedì 30 giugno 2016
L'Italia multata dalla Corte europea per i diritti del'uomo per avere negato un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare.  Non c'era ancora la legge Cirinnà.
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Alle coppie gay, il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare doveva essere concesso ancor prima della legge Cirinnà. Per questo l’Italia, che la pensava in modo diverso, è stata condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Il 'caso' deciso ieri a Strasburgo nasce nel 2004, quando un neozelandese - dopo un periodo di studio in Italia - chiede alla questura di Firenze un nuovo permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Ma il richiedente non è sposato, e a sostegno dell’istanza rappresenta il desiderio di proseguire la convivenza con il compagno. Ne scaturisce una vicenda giudiziaria che approda ai tre gradi di giudizio.L’ultima parola italiana è quella della Cassazione, che nel marzo 2009 dà torto al ricorrente. Chiara la motivazione: la legge sul ricongiungimento familiare non prevede benefici per partner convivente (omo od etero che sia), ma solo per quello sposato. Esaurita così la giurisdizione interna, i due si rivolgono a Strasburgo. Fondamento della nuova iniziativa, la violazione degli articoli 8 (rispetto della vita familiare) e 14 (diritto al matrimonio) della Carta europea per i diritti dell’uomo. Stavolta il ricorso viene accolto con 6 voti contro 1, con conseguente condanna dell’Italia al pagamento di 20mila per danni morali e 19mila per spese connesse al giudizio. Ma la sentenza suscita qualche perplessità. Sia infatti la nostra Corte costituzionale, sia la stessa Cedu, hanno più volte sottolineato che l’unico obbligo in materia è quello di una legge che tuteli le convivenze omosessuali. Ma sul 'come' agire, ogni Stato ha la massima libertà. E nessun vincolo all’introduzione del matrimonio gay. Ebbene. Mentre il 'caso' deciso ieri a Strasburgo era al vaglio dei giudici italiani, la 'Cirinnà' - che ora permette questo tipo di ricongiungimenti - ancora non c’era. Così, per giungere alla condanna dell’Italia, i magistrati si son di fatto spinti a ritenere che l’estensione del ricongiungimento alle convivenze dello stesso sesso fosse un diritto irrinunciabile. Con il risultato di sconfessare un principio - il 'margine di apprezzamento' riconosciuto in materia alle varie nazioni - finora condiviso tra Roma e Strasburgo.
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